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L'appello

“Nostro figlio è malato ma i medici non capiscono cos’ha: aiutateci”

Questo è il grido d'aiuto di Jula e Manuel, due genitori di Villa d'Almè, preoccupati per le condizioni di salute di loro figlio Libero, di 13 anni

“Nostro figlio è malato ma i medici non riescono a capire cos’ha: non sappiamo più cosa fare, siamo disperati”. Questo è il grido d’aiuto di Jula e Manuel, due genitori di Villa d’Almè, preoccupati per le condizioni di salute di loro figlio Libero, di 13 anni.

Mamma Jula spiega: “Tutto è iniziato a ottobre, quando nostro figlio Libero ha cominciato ad avere una febbre persistente. Per dieci giorni è stato ricoverato all’ospedale di Alzano Lombardo, poi è stato spostato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dove è rimasto per tre mesi. Ha effettuato numerosi esami, dalla pet alle analisi del midollo perchè si ipotizzava che potesse avere una forma di leucemia, ma non si è riusciti a capire quale patologia avesse. In modo particolare la febbre non passava e i parametri degli esami del sangue rimanevano sballati, così i medici hanno pensato di ricorrere a una terapia di cortisone alla cieca. Prima di procedere, però, avrebbero voluto confrontarsi con un ospedale specializzato in casi come questo e ci hanno indirizzato al Gaslini di Genova. A fine gennaio, così, a bordo dell’ambulanza ci siamo trasferiti nell’ospedale ligure. Dopo 11 giorni Libero sembrava stare meglio: aveva avuto un piccolo miglioramento, i parametri delle analisi del sangue risultavano ancora fuori misura ma la febbre pareva essere andata via e il 10 febbraio è stato dimesso”.

Dopo una settimana, però, la febbre è tornata. “Abbiamo richiamato il Gaslini – continua Jula – e il 18 febbraio è stato nuovamente ricoverato. Fino a quel momento io e mio marito andavamo avanti e indietro da Villa d’Almè a Genova: non era stata ancora istituita la zona rossa e ci davamo il cambio. Io ho preso un periodo di aspettativa non retribuita dal lavoro e rimanevo con Libero la notte e la mattina mentre Manuel, che ha continuato a lavorare, subentrava nel pomeriggio in modo che potessi stare con l’altro nostro figlio Egidio, di 10 anni. La gestione di tutto era complicata e lo è diventata ancor di più quando hanno chiuso le scuole, il 22 febbraio, così abbiamo preso in affitto un appartamento a 700 metri dall’ospedale per essere più comodi e stare tutti insieme”.

Papà Manuel li ha raggiunti a Genova qualche giorno dopo. “Era il 25 febbraio e quando sono arrivato in ospedale ho chiesto alla portineria se prima di andare in reparto avessi dovuto usare particolari precauzioni o sottopormi a qualche controllo considerando ciò che stava accadendo a Bergamo. Erano le 7.30 e mi hanno chiesto di tornare alle 10.30 perchè avrebbero domandato alla task force che si era creata all’interno della struttura. Così ho fatto e quando sono tornato mi hanno informato che non c’erano particolari restrizioni per chi venisse da Bergamo ma alcune regole da seguire che venivano decise dal reparto stesso. Sono salito e mi hanno indicato di indossare la mascherina e provare la febbre due volte al giorno e riferire quali fossero i valori, poi avrei potuto raggiungere mio figlio, e ho seguito con attenzione le istruzioni perchè non avrei mai voluto rischiare di infettarlo. Il giorno seguente la caposala mi ha fatto capire che l’indicazione di rimanere lì oppure no nel mio caso non era un ordine ma la mia coscienza avrebbe dovuto suggerirmi di non presentarmi. Usando ogni precauzione, però, è importante stare assieme, per assistere Libero, dare il cambio a mia moglie e far sì che riesca a vedere anche l’altro figlio”.

“Il giorno dopo – prosegue mamma Jula – Libero è stato dimesso e siamo rimasti a Genova perchè se la febbre fosse tornata saremmo stati vicini all’ospedale. Dopo quattro giorni ha ripreso a salire e c’è stato un nuovo ricovero. Nel frattempo, il proprietario dell’appartamento dove alloggiavamo ha contattato mio marito per riferirgli che la vicina di casa gli aveva chiesto come si fosse permesso di affittarlo a persone di Bergamo, lui le ha risposto che eravamo lì da un po’ di tempo, le ha spiegato che nostro figlio era ricoverato al Gaslini e che eravamo sotto controllo. Lei aveva paura che portassimo in città il virus come le persone che sono scappate nelle seconde case ma non era il nostro caso. E sin dall’inizio siamo sempre stati molto attenti: andavamo a fare la spesa con guanti e mascherina mentre gli altri abitanti ancora non li indossavano. Anche noi, come la famiglia che ha dichiarato di essere stati trattati come untori perchè venivano da Bergamo (e poi ha fatto seguito la solidarietà della Regione Liguria), abbiamo avuto atteggiamenti ostili nei nostri confronti perchè siamo bergamaschi”.

Intanto Libero ha eseguito diversi esami. Jula racconta: “Ha svolto molti accertamenti ma non si è riusciti a capire quale patologia abbia: come ci avevano prospettato i medici dell’ospedale di Bergamo l’unica opzione sarebbe stata una cura di cortisone alla cieca. L’ha cominciata e dopo 3-4 giorni non aveva più la febbre, gli esami del sangue erano migliorati, è stato dimesso e siamo tornati a Bergamo. Stava meglio, ma domenica scorsa (19 aprile) la temperatura è tornata ad alzarsi: il pediatra ha ipotizzato che potesse dipendere dal fatto che domenica pomeriggio era stato un po’ in giardino ed era debilitato, ma nei giorni scorsi la febbre è continuata e gli esami del sangue non sono andati bene, così venerdì 24 aprile è stato nuovamente ricoverato a Genova”.

La situazione è difficile, la famiglia è provata e ha il fiato sospeso. Lanciando un appello ai medici e a chiunque possa aiutarli o dare un parere, papà Manuel conclude: “Ci troviamo veramente in difficoltà: non è escluso che la febbre possa continuare e il bambino non ne può più, ha effettuato tantissimi esami, sta lottando da tanto tempo ma la medicina non riesce a trovare la soluzione. Abbiamo sempre paura che un giorno i medici scoprano che si tratti di leucemia: con i globuli bianchi bassi e l’infiammazione il rischio c’è ma finora non l’hanno riscontrata. Quando vengono effettuati gli esami, ogni volta si giunge alla conclusione che ‘la malattia non è esplosa e bisogna ricorrere al cortisone’, ma non abbiamo una diagnosi. Siamo disperati, lo dico col cuore: non abbiamo idea di cosa fare, aiutateci”.

 

Chiunque potesse fornire informazioni utili per aiutare Libero può rivolgersi alla redazione di Bergamonews, che farà da tramite con la famiglia: tel. 035211607 – email bergamonews@gmail.com oppure scrivere un messaggio alla pagina Facebook “Bergamonews”.

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