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Lettere

Virus & psicologia

Noi, il malumore e le nuove regole: meno sceriffi, più buoni esempi

Non serve agitare lo spettro della sofferenza, dei lutti o dei sensi di colpa, ma indicare i risultati che possiamo ottenere tutti insieme per non disperdere lo straordinario patrimonio di generosa e contagiosa partecipazione che il nostro territorio ha saputo mostrare di possedere.

L’altra mattina , andando al lavoro (confesso, sono uno dei privilegiati che può farlo ) ho trovato sotto il tergicristallo della mia auto un biglietto stampato che, con toni piuttosto perentori e giudicanti, mi accusava di aver compiuto lo scempio verso il vivere civile di aver parcheggiato fuori dalle strisce. Il fatto che mi trovassi in un parcheggio pubblico della capacità di 150 posti,
ma occupato da 12 veicoli compreso il mio non ha reso certo meno grave la mia infrazione agli occhi del controllore/giudice che mi ha definitivamente catalogato come incivile. In compenso mi ha dato un ulteriore spunto per parlare dell‘atteggiamento dei nostri concittadini nei confronti delle regole, in questi tempi tanto incerti quanto dolorosi.

Da quando sono state via via istituite diverse e sempre più stringenti norme di “limitazione dei comportamenti potenzialmente portatori di contagio” abbiamo assistito a un’evidente polarizzazione tra le ricerca di una “scappatoia legale “ che consentisse di continuare a svolgere alcune attività e la perentorietà del giudizio morale rivolto a chi “non sta a casa”.

L’aggravarsi dei numeri relativi al contagio e, soprattutto, ai decessi ha ulteriormente acuito lo scontro e innalzato i toni: non più tardi di 40 giorni fa si discuteva se fosse possibile giocare a tennis, si è passati poi alla “caccia ai runners”, alle vibranti polemiche sulle passeggiate per i bambini fino alla mobilitazione (un filino eccessiva e compiaciuta forse) di elicotteri e droni.

Sicuramente la prolungata reclusione domestica genera effetti significativi sul proprio tono dell’umore e tende a facilitare l’aumento dell’aggressività eterodiretta come meccanismo di “sfogo “ della frustrazione, ma il vero conflitto è soprattutto intrapsichico.

Nel corso della nostra vita l’esperienza del conflitto tra ciò che vorremmo (desiderio) e ciò che dobbiamo (norma) fare si ripete continuamente fin dall’infanzia e contribuisce a creare la nostra personalità attraverso la ricerca di modalità volte a raggiungere un “compromesso“ accettabile e sostenibile nel tempo. In questo processo gioca un ruolo importante il complesso e variegato sistema di valori e di riferimenti morali che derivano dalla nostra educazione, dal contesto sociale di appartenenza e, ovviamente, dalle esperienze fatte e dai modelli identificativi .

All’interno di questo quadro del tutto “normale” vanno inseriti anche i limiti imposti dalla realtà in cui viviamo: le regole del vivere civile, le leggi dello stato, le convinzioni e i bisogni degli altri…. e la questione si complica ulteriormente.

In questo momento di grande incertezza e di timori diffusi si tende a mettere inconsciamente in atto un meccanismo difensivo che cerca “ fuori da noi” una ragionevole certezza e una corretta
linea di comportamento per dare un senso a una situazione quasi impensabile per l’enormità degli effetti sulla nostra vita e per il carico di sofferenza che porta con sé e, soprattutto, per ridurre l’angoscia che ne deriva.

Spostando il locus of control all’esterno accetto di cedere una parte di “sovranità“ emotiva e decisionale in cambio di una “ansiolitica” conferma del fatto che “sto facendo la cosa giusta“.

In tal senso ci si attiene ad un concetto di NORMA che si concretizza sulla messa in atto di una serie di comportamenti codificati e che tende a basarsi soprattutto sul timore della SANZIONE, ma rischia di perdersi il senso che sta alla base dei vari provvedimenti normativi: non conta più ciò che è giusto o utile fare o non fare ma ciò che è CONSENTITO attivando risposte estremizzate che vanno dalla “sindrome dello sceriffo” al tentativo di trovare scappatoie che mettano al riparo dalla sanzione aldilà della pericolosità del comportamento.

In un contesto in cui è difficile orientarsi tra notizie vere, verosimili e fake news ovviamente ciascuno tenderà a costruirsi una personale spiegazione della situazione che tenderà a ricalcare convinzioni e timori già esistenti (come nel tifo calcistico e politico).

Tale posizione difensiva tende a non durare a lungo perché intrinsecamente fragile e riattiva vissuti angoscianti e/o frustranti rischiando di creare un vero e proprio circolo vizioso che si autoalimenta e cresce di intensità portando di frequente a comportamenti francamente oppositivi o aggressivi .

Sarebbe invece molto più utile riportare al centro (focus of control interno) il concetto di RESPONSABILITA’ che vede il nostro comportamento come risultato di una scelta consapevole fondata sul significato che diamo alle nostre azioni ed al loro possibile effetto sugli altri: non si tratta più di aderire acriticamente a opinabili elenchi di azioni consentite, ma di stabilire un fondamento etico alle nostre azioni, comprese quelle rinuncia che ci sembrano poco sensate o troppo faticose da mantenere nel tempo.

Diventa però fondamentale per rendere sostenibile questa posizione che la responsabilità individuale trovi nella controparte istituzionale un soggetto capace di generare fiducia attraverso la coerenza, la sensatezza e la sostenibilità delle richieste rivolte ai cittadini… ecco, forse su questo punto punto ci sarebbe da lavorare: chiedere ai cittadini un “nuovo patto civile” anche e soprattutto durante una drammatica emergenza necessita di chiarezza nelle comunicazioni e di ragionevole certezza nella programmazione delle strategie sia a breve che a medio e lungo termine, insomma necessita anche e soprattutto di coraggio, onestà e responsabilità.

Non servono sceriffi iper vigili, ma buoni esempi credibili. Non serve agitare lo spettro della sofferenza, dei lutti o dei sensi di colpa, ma indicare i risultati che possiamo ottenere tutti insieme per non disperdere lo straordinario patrimonio di generosa e contagiosa partecipazione che il nostro territorio ha saputo mostrare di possedere.

Non accontentiamoci di comportarci anche solo un po’ al di sotto dello standard delle donne e degli uomini che possiamo e vorremmo essere, non ora, soprattutto ora, in fondo dipende da noi.

*psicologo psicoterapeuta

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