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Lettere

La riflessione

Senza certezze, per tornare a una vita sostenibile serve il buonsenso

Enrico Iavarone, medico, riflette sulle ancora inesistenti certezze circa i tempi della "sicurezza" per non essere contagiati dal Covid-19. E suggerisce perciò di agire con ragionevolezza.

Enrico Iavarone, medico, riflette sulle ancora inesistenti certezze circa i tempi della “sicurezza” per non essere contagiati dal Covid-19. E suggerisce perciò di agire con ragionevolezza.

Gentile direttore,

Sono uno dei tanti medici che ha contratto il Coronavirus, fortunatamente senza le conseguenze drammatiche che hanno colpito molti. Oggi, a distanza di oltre 45 giorni dai sintomi risulto ancora positivo al tampone, nello specifico, a “bassa carica”.

Gli infettivologi considerano tale riscontro come un “falso positivo”, dovuto alla presenza di frammenti virali nell’orofaringe ma senza replicazione in atto. Quindi: test positivo ma situazione verosimilmente priva di potenziale contagiosità. Questa situazione sta diventando di osservazione comune tra noi medici.

Tale positività comporta, sulla base delle norme previste, l’isolamento domiciliare, la cosiddetta “quarantena”.

Però mi chiedo: la “quarantena” attualmente prevista è in linea con le osservazioni cliniche? Bastano 28 giorni (fino a poco tempo fa, 14 giorni) per essere considerati non più contagiosi? Bastano o devono bastare per tutti?

Continuiamo il ragionamento. Da una parte abbiamo una quota di soggetti positivi monitorati con tampone (in particolare gli operatori sanitari, prioritariamente sottoposti ai test). Questi inseguono gli agognati due tamponi negativi per poter essere considerati abili a tornare alle proprie attività.

Tra questi, ricordiamoci, ci sono anche i “falsi positivi” verosimilmente non contagiosi ma sottoposti comunque al doppio riscontro negativo e, nell’attesa, isolati.

Dall’altra parte abbiamo numerosissime persone che direttamente o indirettamente, assistendo i propri familiari, hanno contratto l’infezione e alle quali viene dato un periodo di isolamento obbligatorio di 28 giorni senza che si abbia un riscontro oggettivo della presenza o meno del virus. Senza tampone, dunque. Questi soggetti che siano negativi o positivi asintomatici devono rispettare “solo” i 28 giorni di quarantena e poi possono ritornare alla socialità ancorché limitata, come per tutti.

Tirando le somme: doppio tampone negativo e un isolamento che può andare oltre i 45 giorni (come nel mio caso) contro nessun tampone né singolo né doppio, 28 giorni di isolamento e ritorno in società. Due trattamenti molto diversi ma che coesistono.

Conclusione: quando ci sono poche certezze, occorre molto buonsenso.

Siamo, ovviamente, in una situazione nella quale le evidenze scientifiche si formano dopo l’osservazione clinica a cui segue, con latenza variabile, la conferma scientifica. Ancora più in ritardo arriva l’adeguamento normativo-amministrativo.

Accorciare il più possibile la distanza tra questi passaggi dovrebbe essere prioritario per chi si occupa di salute pubblica e per i decisori politici. Tutto questo per coniugare nel miglior modo possibile il ritorno alle attività (la cosiddetta Fase 2) con “ragionevoli” condizioni di sicurezza.

Ho usato il termine ragionevole proprio perché in situazioni come queste, a una robusta base scientifica bisogna che venga associata una ragionevolezza che abbrevia i tempi di trasferimento delle informazioni teoriche alle norme comportamentali.

Bisognerebbe comprendere che attendere l’evidenza scientifica assoluta (di cosa? Infallibilità dei test e del loro significato? Pieno controllo dei meccanismi di diffusione? Certezze personalizzate riguardo le misure di contenimento) potrebbe comportare un tempo troppo lungo, insostenibile da molti punti di vista, economico e sociale in primis.

Solo con un compromesso tra le diverse esigenze può spostare la bilancia costi-benefici a favore di questi ultimi.

L’invito è quindi di considerare maggiormente questi aspetti anche attraverso il dialogo serrato tra gli operatori sul campo e i vertici amministrativi, assumendosi, certamente, responsabilità enormi ma indispensabili per tornare quanto prima possibile ad una vita attiva e sostenibile.

Grazie per l’ospitalità,

Dr. Enrico Iavarone

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