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L'intervista

Un anno senza Mino Favini: “Nel calcio servono ancora persone perbene come lui”

Cesare Prandelli ricorda il grande talent scout, morto il 23 aprile 2019: "Era un fratello maggiore. Mi ha insegnato i sogni li puoi realizzare solo se sai costruire certi rapporti umani, in cui lui era maestro"

Era stato anche una discreta mezzala, da calciatore con l’Atalanta, dal 1960 al 1962. Ma quando ha cominciato a lavorare da dirigente, non dietro a una scrivania ma ogni giorno sul campo, è diventato un regista straordinario: con Mino Favini, che è stato per 24 anni responsabile del settore giovanile, Zingonia è diventata uno dei più qualificati laboratori di talenti del calcio. Di quella ‘cantera’ nerazzurra che ammirano e invidiano anche tanti grandi club.

Ecco, oggi, a un anno dalla sua scomparsa (il 23 aprile 2019), che ricordo lascia Mino Favini? Giriamo la palla a un maestro di calcio, Cesare Prandelli: “Pensavo proprio in questi giorni, vedendo dei ragazzi che giocavano a pallone, a quante volte ci siamo sentiti e confrontati per capire e far crescere i nostri ragazzi del settore giovanile. Favini per me era il riferimento tecnico e umano: un uomo di grande umanità, capace di usare sempre le parole giuste, una persona equilibrata. E poi la sua idea di calcio, che metteva a base di tutto e al centro la tecnica. Così ci siamo intesi e siamo entrati in sintonia da subito. Con lui, grazie a lui, con Vavassori, Finardi, Gustinetti, Rubagotti e tutti gli allenatori del settore giovanile abbiamo creato una vera e propria squadra, un gruppo di allenatori fantastico”.

Un po’ come la Banda Prandelli (quella meravigliosa squadra che ha vinto tutto, con Morfeo, Tacchinardi, Locatelli e tanti altri talenti), c’era quindi la banda degli allenatori, a Zingonia… “Ma questa è stata la bravura di Favini, che aveva saputo formare una vera e propria squadra di allenatori. Vedete, la fortuna era quella di avere un Centro come Zingonia dove tutte le squadre dell’Atalanta erano lì, dalla prima ai più piccoli. Molti osservatori stranieri venivano a vedere gli allenamenti e rimanevano meravigliati. Noi tecnici ci confrontavamo ogni giorno e Favini voleva che noi allenatori seguissimo anche le altre squadre: è stato geniale. Ricordo per esempio i gemelli Zenoni che rischiavano di essere tagliati, non si riusciva a capire bene il loro ruolo. Gli dissi: Mino, mandali da me nella Primavera. Cristian giocava centravanti e lo spostai esterno basso, Damiano centrale di centrocampo. E continuarono. Quando un ragazzo esce dal settore giovanile dell’Atalanta deve essere pronto e essere cresciuto in un settore di livello come quello del Centro Bortolotti è una garanzia, è il marchio Atalanta”.

Mino Favini
Mino Favini era nato il 2 febbraio 1936

Chissà quante volte il signor Mino è venuto a vedere la Banda Prandelli? “Tantissimo, perché si condividevano strategia e tecnica. Poi… lui si fidava. Una volta, a un torneo allievi a Lugano, non poteva venire a seguirci e succede che perdiamo la prima partita 5-2. Penso: ma cosa dico, come faccio a spiegare una sconfitta così al responsabile del settore giovanile, a Favini? Eppure a me la squadra è piaciuta. Allora lo chiamo e gliela racconto, anticipando, guarda che il risultato te lo dico dopo. E aggiungo: io sono convinto che questi ragazzi faranno molto bene. Lui mi lascia parlare e mi dice: ti sento molto sereno, tranquillo, per me va bene, vai avanti. Poi tra l’altro, contro la stessa squadra, mi pare una squadra francese, ci siamo ritrovati in finale e abbiamo vinto 3-0”.

“Per me – continua Prandelli – Favini era come un fratello maggiore, mi telefonava e mi chiedeva di convincere la moglie Paola a non fumare, a mangiare. Sentiva molto la sua mancanza e infatti negli ultimi anni si erano trasferiti a Bergamo”.

Parlare di Favini vuol dire mettere il fattore umano al primo posto: “Mino aveva le parole e le idee giuste, convinto che nel calcio servono persone perbene e poi…e poi i sogni li puoi realizzare, ma solo se sai costruire certi rapporti umani, in cui lui era maestro. Devi essere felice con le persone che lavorano con te e ti stimano. Per Favini non era un lavoro, era una missione. E sul piano umano mi manca tantissimo”.

Cesare Prandelli
Cesare Prandelli, bresciano di Orzinuovi, ha 62 anni

Ma un bresciano molto bergamasco come Cesare Prandelli che finale può darci, al termine di questa chiacchierata, pensando al dramma che stiamo vivendo, a Bergamo come a Brescia? “Ho vissuto 15 anni a Bergamo, mia figlia Carolina è nata lì. I bergamaschi sono tenaci, caparbi, sanno soffrire ma soprattutto sanno anche essere uniti e molto forti. Io dico” sono le parole di Prandelli “che ne usciranno con il lavoro, con la forza, con l’unità. Aggiungo una cosa: adesso ci vorrebbero non solo aiuti, ma essere considerati non persone che diffondono il virus. Io ai bergamaschi rivolgo un grande abbraccio, questa è stata una tragedia, ma i bergamaschi ‘i mola mai’. Non saranno mai depressi, non mollano mai. La grande rivalità con Brescia? Stiamo combattendo la stessa battaglia e alla fine di quest’incubo mi auguro che si possa fare una partita insieme. E avremo vinto tutti”.

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