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Accademia dello sport

Il direttore di terapia intensiva

“Uno tsunami all’ospedale di Seriate, non eravamo pronti alla bomba Covid”

Roberto Keim: "Medici e infermieri, nessuno ha mai fatto un passo indietro, c'è chi non vede la famiglia da due mesi".

“Da fine febbraio fino all’inizio di aprile abbiamo avuto un’ondata pazzesca di pazienti. Uno tsunami”: è un’immagine forte e chiara quella che il dottor Roberto Keim, direttore del dipartimento di emergenza urgenza e dell’unità operativa complessa di anestesia rianimazione e terapia intensiva dell’Asst Bergamo Est, usa per descrivere la situazione vissuta all’ospedale Bolognini di Seriate, una delle strutture messe più a dura prova dell’emergenza Coronavirus.

Un’affermazione validata dai numeri: “Al pronto soccorso avevamo 100 accessi Covid, tutti con insufficienza respiratoria – racconta – In pochissimo tempo abbiamo dovuto trasformare l’ospedale, con tutti i 230 posti letto a vocazione Coronavirus. Dagli ordinari 6 letti di terapia intensiva siamo arrivati piano piano a 22: 9 in rianimazione, 7 li abbiamo trasformati nell’unità coronarica, un paziente in ciascuno dei 6 blocchi operatori. Il tutto sempre con lo stesso organico, anzi da quel punto vista abbiamo dovuto fare i conti con parecchie defezioni: in più dovevamo gestire anche una sessantina di pazienti con caschi Cpap, la mole di lavoro è stata impressionante e incessante”.

Ora la situazione pare essersi quantomeno stabilizzata, con un massimo di 15 accessi al giorno in pronto soccorso ma più spesso una media di 2-5 pazienti: un termometro affidabile dell’andamento del contagio, con valori ben lontani dai picchi raggiunti nella fase acuta.

Per descrivere quei momenti terribili, il dottor Keim usa un’altra immagine drammatica: Sapevamo che era scoppiata la bomba, con malati scaricati continuamente in ospedale e la maggior parte di loro in grossa difficoltà respiratoria. Quella è stata la fase più difficile, perché ci trovavamo a dover dare risposte velocissime, dal punto di vista clinico, logistico, di informazioni ai pazienti e ai loro parenti, che si sono visti improvvisamente togliere il diritto di vedere i familiari ricoverati. Continuavamo a trasferire pazienti, fuori provincia, fuori regione, addirittura fuori dall’Italia”.

Ma l’emergenza ha creato un’incredibile unione di intenti, una straordinaria disponibilità e volontà del personale che, seppur decimato da malattie e pensionamenti, non è mai arretrato di un centimetro: “Non sono stati solo i medici a sacrificarsi, ma ho visto e apprezzato moltissimo anche il lavoro degli infermieri – evidenzia il dottor Keim – Si sono messi alla prova anche in situazioni mai affrontate, nessuno ha mai guardato all’orologio o al giorno di riposo. Io stesso non vedo la famiglia da due mesi e la maggior parte di noi è in questa condizione. In più abbiamo perso tanti colleghi, con cui lavoravamo fianco a fianco: ma in questa brutta esperienza abbiamo trovato compattezza”. 

È nelle difficoltà dunque che l’ospedale ha trovato nuove forze, dall’interno, ma anche grazie al sostegno del territorio: “All’inizio non ci aspettavamo una situazione simile – ammette Keim – Eravamo profondamente impreparati ma ci siamo rimboccati subito le maniche per trovare nuovi posti letto in terapia intensiva e i dispositivi di protezione individuale. Un grande aiuto è arrivato anche dagli industriali bergamaschi e dalle donazioni confluite nell’Accademia dello Sport per la Solidarietà di Bergamo, che ci ha fatto avere una preziosa Tac mobile e tanti altri dispositivi fondamentali allo svolgimento del nostro lavoro, come i caschi Cpap, l’impianto d’ossigeno, i flussimetri. Un sollievo anche per noi”.  

Oggi il direttore del dipartimento di emergenza urgenza e dell’unità operativa complessa di anestesia rianimazione e terapia intensiva nota una de-tensione, una corsa meno affannosa al reperimento di nuovi posti letto: “Lo diciamo con molta cautela – si affretta a precisare – Stiamo respirando un po’ di più, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia: il livello di attenzione è altissimo, anche nella nostra cura e nell’uso maniacale dei dispositivi di protezione individuale, che fortunatamente ora abbiamo a sufficienza. Non possiamo commettere errori, a cascata si innescherebbe di nuovo tutto il ciclo pandemico, che per definizione non è prevedibile. Non ci troverebbe comunque più impreparati, ma non lasciamo spazio a facili entusiasmi: abbiamo tirato fuori il naso dall’acqua e iniziamo a respirare con una narice ma abbiamo ancora tutto il corpo sommerso”.

Il futuro rappresenta ancora una forte incognita, ma due mesi passati in apnea hanno arricchito il personale medico dal punto di vista professionale: “Stiamo immagazzinando dati, valutando e studiando i vari protocolli che ogni giorno, se consoni, ci troviamo ad applicare – conclude Keim -. Tutto questo ci cambierà e dovrà necessariamente portare a una riorganizzazione della sanità. Ora la cosa che desideriamo di più è quella di poter tornare a sorridere, magari togliendoci la mascherina: sarebbe il regalo più bello per lenire le fatiche fisiche e psicologiche”. 

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