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L'idea

Vittime da coronavirus senza funerale, istituiamo un giorno per commemorarle

La proposta parte dal settimanale L'espresso, per ricordare le tante vittime da coronavirus alle quali non è stato nemmeno possibile dare un ultimo saluto. Un dramma che sta toccando in particolar modo la nostra provincia

L’offesa alla dignità della morte impedisce la memoria collettiva e mina le basi della convivenza civile. Per questo, quando la fase acuta dell’emergenza sarà passata, dovremo pensare a una ricorrenza che aiuti chi è rimasto a eleborare un lutto altrimenti spettrale. La proposta parte dal settimanale L’espresso, che lancia l’idea di istituire una giornata per ricordare le tante vittime da coronavirus in Italia alle quali non è stato nemmeno possibile dare un ultimo saluto.

Un dramma che sta toccando in particolar modo la nostra provincia. Non a caso, la foto dell’articolo, è quella dell’esercito che attraversa Bergamo per portare le salme da cremare fuori regione, nel primo corteo dello scorso 18 marzo.

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I lugubri cortei si ripetono lungo le autostrade, i raccordi, le vie periferiche, scortati da pattuglie di polizia. I morti non devono disturbare la città dei vivi. Ma sotto quei teloni mimetici ci sono il tabaccaio, la maestra in pensione, il prete dei poveri, il vigile, il droghiere, la signora del terzo piano, una coppia di coniugi morti insieme. Piccole, grandi storie di provincia, spente d’un tratto da una Storia che negli ultimi tempi ha preso un andamento apocalittico. Tutto sembra finire così.

“Il numero dei decessi di oggi – viene detto in un gergo freddo – non è stato poi così alto”. Ma le vittime sono centinaia. E dietro quelle cifre, quelle curve, quegli schemi, c’è un’intera generazione che viene cancellata, quella che ha costruito l’Italia del dopoguerra. Sono gli anziani falcidiati dal virus nelle “case di riposo”, quei grandi spazi vuoti in cui viene parcheggiata la vecchiaia, sono i più abbandonati e, come sempre, i più poveri. Sono morti in una solitudine diversa da quella che accompagna gli ultimi momenti. Il virus isola già prima. Si lotta per respirare intubati, legati a macchinari. Senza parenti, senza amici intorno. Neppure per un cenno, il simulacro di un congedo.

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Nell’attuale cultura igienizzante la morte deve essere ripulita, disinfettata, sterilizzata. Perciò viene rimossa dietro le quinte della scena pubblica. Che a provocarla sia un virus ignoto rende tutto ciò ancora più evidente. Lo testimoniano le fosse comuni che qualche drone scopre qui e là – come a Hart Island, il tetro scoglio di New York. Ripugna la modalità della sepoltura, ferocemente asettica, impietosamente sbrigativa. Inquieta l’epurazione della morte dalla città. Ma se i morti scompaiono, e i corpi vengono trattati come rifiuti contaminanti, allora la città diventa una necropoli, uno spazio asettico e sterile di morte.

Non possiamo accettare che il distanziamento abbia per effetto un sommario lockdown delle vittime. Non se ne parla ancora, perché lo shock è profondo, la perdita enorme. Ma sarà presto necessario pensare in Italia a un rito pubblico che unisca una comunità ferita e aiuti a elaborare un lutto altrimenti spettrale.

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