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Non solo tragedia

Un ragazzo. E quello che ha imparato dal virus

Felice di aver visto la televisione la sera, felice di aver iniziato un libro che ormai stava prendendo la polvere, di aver avuto il coraggio di prendere il telefono, mettendo da parte l’orgoglio o chissà che cosa, chiamando una delle persone più importanti della mia vita e passando un’ora di chiacchiere tanto rimandate per chissà quale motivo.

La riflessione di Lorenzo Guardo, un ragazzo di terza superiore all’Itis Marconi di Dalmine, alle prese con le giornate, le settimane, i mesi di clausura per via del Coronavirus. 

Magari mi sbaglio, ma questa settimana credo si sia velocemente posizionata tra le più interessanti di tutta la mia vita vissuta finora. Anzi, senza forse. Dopo circa un mese di risate fatte sulla sfortuna dei cinesi, dopo aver continuato a vivere le nostre giornate noncuranti di tutto ciò che stava accadendo nel mondo, dopo esserci sentiti intoccabili, il Covid-19 detto anche Coronavirus è arrivato in Italia.

Non è solo arrivato, ci ha invaso, in modo prepotente, senza chiederci il permesso, senza preoccuparsi di sapere se fossimo pronti o no. O meglio, lui ci aveva avvisato, solo che noi non lo abbiamo ascoltato. Ora guardiamo le altre nazioni che stanno vivendo ciò che abbiamo vissuto noi settimane fa: il saccheggio dei supermercati, le persone ancora in giro libere per strada e nei locali, a dire che è solo un’influenza e che non c’è problema. Senza limiti, senza sapere ciò che sta per accadere davvero. E noi vorremmo spiegarglielo, vorremmo urlarglielo, di stare in casa, di non comportarsi come incivili, di non fare gli stupidi.

Ma del resto lo abbiamo fatto anche noi, forse è un processo naturale: come tutte le cose che devi vivere prima di capire. Si sentono invincibili e ci sentivamo invincibili anche noi con quel piccolo flaconcino di Amuchina disperso nei cassetti da usare solo in viaggio, che ora è diventato il nostro migliore amico. Con la spesa on-line che arrivava il giorno stesso dell’ordine, quando ancora le mascherine su Amazon costavano pochi centesimi ed erano disponibili subito. Abbiamo iniziato a renderci conto della cosa, ma da “veri italiani” abbiamo continuato ancora ridere in faccia al Virus, perché“tanto io sono giovane, l’influenza l’ho già avuta, i media esagerano, è una bufala per far crollare l’economia”.

Solo che i reparti di terapia intensiva hanno subito un collasso, persone che conoscevamo si sono ammalate e poche ore dopo tutta l’Italia era chiusa. Vabbè, ci siamo detti, tanto noi la passeggiata la possiamo fare, il giro al parco pure, i centri commerciali sono aperti, il bar continua a fare l’aperitivo. Dai, non sarà così grave, esagerano come al solito. Sorvolando ovviamente su tutte quelle “bufale” o meno che i social hanno iniziato a far girare: video e notizie completamente discordanti tra di loro, senza una logica… un delirio di informazioni prese chissà dove, “segui lui che ne sa, no vai su quella pagina che dicono le cose come stanno, non guardare il telegiornale che creano allarmismo, vai su Tg24, no anzi segui quel chimico che ti spiega il coefficiente del contagio…”.

Poi una mattina ci siamo svegliati e i parchi erano chiusi, la macchina della Polizia ha iniziato a girare per le strade deserte reclamando le regole con il megafono, gli unici negozi rimasti aperti erano alimentari, edicole e farmacie, i film interrotti da continui annunci di comportamento. È diventata necessaria l’autocertificazione come lasciapassare per spostarsi, la camionetta dell’Esercito Italiano ha iniziato a fare le ronde ed è arrivata la PAURA, è arrivato il SILENZIO. Ma è arrivata anche un’altra cosa: la PRESA DI COSCIENZA. E da quel momento è scattato un interruttore dentro di noi.

Abbiamo iniziato a capire che INSIEME possiamo farcela, uniti da un qualcosa che per, forse la prima volta, è stato capace di spazzare via razze, religioni, stati sociali, etichette, ruoli, confini. Perché questo Virus non guarda in faccia nessuno, non ti chiede l’estratto conto o che lavoro fai, non si interessa se vai in Chiesa oppure no, se hai il cane da portare fuori, se vivi da solo o se condividi la casa con qualcuno.

No, questo virus tratta tutti allo stesso modo, come dovrebbe essere e allora ci siamo detti che forse così diversi non siamo, che aspettare un po’ per essere serviti dal fruttivendolo non è la fine del mondo, che salutare il vicino di casa dalla terrazza non è così male. E che sì, abbiamo dei vicini!

Che ginnastica si può fare anche in casa, comprare quel vestito non è così urgente, meglio spendere i soldi per un pacco di pasta e risparmiare per i tempi che verranno. Non solo, questo virus ci sta insegnando anche qualcos’altro: ci sta facendo capire la differenza tra le cose importanti e quelle superficiali.

Ci insegna che non siamo immortali, che il pianeta va trattato bene, che basta davvero poco per essere felici e basta altrettanto poco per essere infelici.

Questa mattina mi sono svegliato tardi, avevo bisogno di dormire e aprendo gli occhi ho capito che fuori c’era una giornata splendida, ho aperto la finestra e il sole primaverile era lì, con i suoi 19 gradi. Il primo pensiero è stato: vado a fare un bel giro in moto! Poi ho realizzato, tempo tre secondi e sono tornata alla realtà e in quel momento sono tornato indietro a quelle domeniche in cui ho preferito stare in casa nonostante il sole dicendomi: “Ma sì, ci andrò settimana prossima!”. Ho rimandato e oggi non ci potevo andare.

Fino a sabato mi sono rifugiato nella scuola ed è stata la mia salvezza, qualche telefonata agli amici, videochiamate a nonna, un po’ di palestra ed è passata. Poi è arrivato il weekend.

Preventivamente mi sono preparato una lista di cose da fare, conoscendo la mia indole organizzativa volevo evitare di trovarmi annoiato. Una lista infinita di lavori lunghi che avrebbero riempito sia il sabato che la domenica: sistemare i documenti, ribaltare l’armadio, pulizie di casa, iniziare a scrivere il diario, organizzare il book della formazione…

Sapete cosa? Non ho praticamente fatto nulla di queste cose (a parte la pulizia della camera che ormai è routine e una veloce organizzata ai documenti che era necessaria da tempo), ma la cosa più esilarante è che non mi sono annoiato. È iniziato (forse già da lunedì, ma con la scuola non me ne ero resa conto bene) un percorso interiore di analisi incredibile. Quello spazio per me stesso che di solito, preso dalla quotidianità delle cose da fare, viene messo da parte, perché è più importante il giro al centro commerciale, l’aperitivo con gli amici, lavare la moto. Siamo abituati ad occupare il tempo con un milione di attività inconsistenti e superficiali, rallentando il cervello e lobotomizzandoci nella routine, pur di non ascoltare davvero il nostro cuore e capire cosa vogliamo davvero.

Ora che sono costretto… beh, non è così male e passatemi l’espressione: “Sono felice”.

Felice di aver davvero ascoltato le parole di una canzone sparata a tutto volume nelle orecchie, felice di aver fatto aperitivi virtuali al computer senza pormi il problema di dove si va, cosa mi metto, a che ora è.

Felice di aver visto la televisione la sera, felice di aver iniziato un libro che ormai stava prendendo la polvere, di aver avuto il coraggio di prendere il telefono, mettendo da parte l’orgoglio o chissà che cosa, chiamando una delle persone più importanti della mia vita e passando un’ora di chiacchiere tanto rimandate per chissà quale motivo.

Felice di aver capito che tutto ciò che abbiamo e facciamo non è così scontato come credevamo, di essermi guardato dentro, iniziando ad affrontare le mie paure ed insicurezze, di aver scoperto di avere una forza incredibile ed un ottimismo che non sapevo di avere.

Avete presente nei film quando un umano qualsiasi diventa un supereroe? Vede le cose lontanissime come se fossero al microscopio, sente i suoni impercettibili e distanti come se fossero vicinissimi. Ecco, questa settimana, questo weekend, ho visto e sentito, ma non con gli occhi della quotidianità, ma con il cuore, ed è stato bellissimo.

Ho anche pianto, anzi no, ho pianto tanto e ogni giorno, perché anche io mi sentivo invincibile e beffavo quel virus che ora mi sta costringendo a fare i conti con me stesso. Oggi tornando a casa dopo essere andato a fare la spesa, con le precauzioni necessarie, ho notato il disegno che hanno fatto le bambine dell’appartamento accanto al mio e mi sono sentito meno solo: non siamo soli e sì, ce la faremo.

Il mio augurio è che, passata la tempesta, saremo tutti un po’ più consapevoli, perché non so come è sembrato a voi, ma secondo me oggi il cielo era di un azzurro più pulito e non sarebbe male vederlo sempre così! Da parte mia non vedo l’ora di poter vivere il mondo in questa nuova veste di me stesso. Resiliente e consapevole. Vivo. Grato.

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