È passato un mese da quel 18 marzo che ha sconvolto Bergamo e il mondo intero. Quel giorno, un mercoledì, intorno alle 22 è partito dal cimitero Monumentale cittadino il primo corteo dell’Esercito con le salme di pazienti Covid dirette fuori regione per la cremazione, a causa dell’indisponibilità dei forni della nostra provincia dopo l’ingente numero di decessi. Una drammatica scena poi rivista in diverse occasioni in queste quattro settimane, in cui sono state trasportate in totale quasi mille bare.
Di quella sera rimarrà un’immagine simbolo, quella lunga fila di mezzi militari che taglia via Borgo Palazzo e con essa il cuore di ogni bergamasco, immortalata con il telefono da un ragazzo sul balcone di casa, che pensava fossero rinforzi arrivati in città per controllare chi esce senza giustificazione.
A coordinare quell’operazione, come tutte le successive, anche da Seriate e da Ponte San Pietro, è stato il comandante provinciale dell’Arma Paolo Storoni. Un compito svolto con una sensibilità che va oltre la divisa. Lo dimostra la ricerca dei forni crematori più economici, anche contrattando il prezzo direttamente con i sindaci delle varie città italiane, pensando alle famiglie in condizioni disagiate e magari con tre o quattro cari deceduti.
Colonnello, a distanza di quattro settimane com’è ora la situazione? “Rispetto a quel periodo in cui registravamo anche duecento decessi al giorno, ora le cose vanno un po’ meglio, se così si può dire. Almeno il numero dei morti è diminuito e riusciamo a gestire le pratiche con minori difficoltà”.
Quante salme avete trasportato in un mese? “Quasi mille finora. Per la precisione 929. Oltre che da Bergamo, da Seriate e da Ponte San Pietro. Fortunatamente d’ora in avanti da questi ultimi due paesi non dovrebbero più partirne, ma solo dalla città”.
Dove sono state inviate? Ai forni crematori di Emilia Romagna, Piemonte e poi fino in Toscana e Friuli Venezia Giulia. In Lombardia era impossibile, ci sono stati troppi decessi nella nostra regione e gli impianti erano già pieni”.
Siete stati contattati dai parenti dei defunti? “Sì, in molti ci hanno chiamato o scritto per ringraziarci delle attenzioni avute per le salme dei loro cari. Alcuni ci hanno chiesto la consegna a casa dell’urna con le ceneri e l’abbiamo fatto. Un nostro uomo di Gandino, tra l’altro, ha dovuto recapitarla ai familiari di un vicino di casa con cui era in ottimi rapporti. Incarichi pesanti anche per noi abituati a tutto”.
Il momento più difficile? “Quelli in cui avevamo duecento decessi al giorno e non sapevamo dove mettere le salme da cremare. Passavamo ore al telefono a chiamare amministrazioni di tutta Italia per trovare un posto adatto. Senza dimenticare il dolore per le famiglie coinvolte e per ciò a cui stavamo assistendo”.
Nella sua lunga carriera, in località d’Italia anche delicate come la Calabria, le era mai capitata una situazione simile? “Assolutamente no. Ci sono state calamità naturali che mi hanno messo a dura prova, ma nessuna come in questo caso”.
Ci sono stati anche un paio di carabinieri deceduti e alcuni contagiati… “Sono vicino alle famiglie colpite dal lutto e mi congratulo con i miei ragazzi per il lavoro svolto in queste settimane con uno spirito di abnegazione che mi rende orgoglioso di loro. Ringrazio pure l’Esercito per il prezioso supporto che ci ha fornito. Anch’io sono stato in isolamento per qualche giorno, a inizio marzo, quando erano risultate positive autorità con cui mi ero rapportato. Ma poi per fortuna i tamponi hanno escluso il mio contagio”.
Cosa le rimarrà di questa esperienza? “È stata un’esperienza molto profonda, che mi ha segnato come ufficiale e come uomo. Ho ricevuto tanta riconoscenza dai bergamaschi e ciò mi ha legato ancora di più a questa terra. Per me è appagante aiutare le persone, come dico spesso è in casi come questo che si vede la differenza tra fare il carabiniere ed essere carabiniere”.
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