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Il ricordo

Addio Sepulveda, coi tuoi libri ho scoperto un mondo di formidabili passioni

Me lo ricordo chiaro e limpido come se lo vivessi in questo momento: il giorno in cui ti ho conosciuto.

Vittima illustre del coronavirus, Luis Sepulveda, 70 anni. 

Me lo ricordo chiaro e limpido come se lo vivessi in questo momento: il giorno in cui ti ho conosciuto. Ero a letto malata, uno dei tanti giorni d’influenza che si hanno da ragazzine, e lessi il primo di una lunga serie di libri tuoi che avrei poi divorato. Era Diario di un killer sentimentale. Ti conobbi lì e non ti lasciai più.

Non sapevo niente di te. Niente del grande scrittore che eri, Luis Sepúlveda. Niente del Cile e di Pinochet. Niente di quella storia che poi mai più avrei abbandonato e che avrei cercato avidamente nelle pagine della tua quasi compatriota, Isabel Allende. Niente delle tue lotte politiche, della tua famiglia anarchica, degli arresti, degli anni in fuga e in esilio.

Dovevo conoscerti e non solo perché a 16 anni era “figo” dire di leggere Sepúlveda, ma perché le tue parole mi avevano parlato come mai nessun altro, con quella forza, passione, sesso, durezza, occulto e odore di sigarette e di battaglia che solo la letteratura Sudamericana mi sa comunicare. Ingredienti per una vita di formidabili passioni mi legò indissolubilmente a te, scrivendolo dappertutto come incipit di qualunque “lista di cose da fare” potessi scrivere insieme, ovviamente, al titolo esemplare di un altro tuo compatriota, Confesso che ho vissuto, di Pablo Neruda.

Lì seppi veramente chi eri, assaporando quello che raccontavi della tua scrittura, dell’impegno politico, delle amicizie, gli amori e dei viaggi.

Ed è proprio questo libro che portai con me il giorno in cui, molti anni dopo, ti incontrai. Sembra uno scherzo del destino, ma era proprio il mese di aprile del 2017. Eri a Milano, alla manifestazione “Tempo di Libri”, a presentare il tuo ultimo scritto che, ora, mi suona come un messaggio premonitore: La fine di una storia.

sepulveda

Sì, perché è di poche ore fa la notizia della tua morte a causa di una malattia, di quella pandemia che da quasi due mesi tiene tutti noi su un filo teso, che è riuscita dove nemmeno le torture di Pinochet e i mesi di carcere in una minuscola cella sono arrivati. Ti sei spento a 70 anni in un ospedale delle Asturie.

E io, subito, sono andata alla mia libreria e ho ripreso in mano i tuoi libri, rileggendo i punti sottolineati e segnati con “le orecchie”. E ho visto la tua firma a quel libro che ti portai a Milano, consumato e ingiallito: “Per Mari e Lucia, con mi afecto, Luis Sepulveda”.

Lasci un vuoto profondo, Luis. E mi permetto di parlarti come un amico, anche se sempre con lo sguardo duro e serio, come in quella foto che ho scattato insieme a te. L’unico rimpianto che ho è quello di non averti mai potuto intervistare, nemmeno quel giorno di dicembre che sei venuto nella mia città, Bergamo, per futili e inutili inimicizie giornalistiche alimentate dalla legge dell’esclusiva (leggi).

Te ne sei andato da questo mondo per cui hai lottato fino alla fine, con la tenacia della tua voce e delle tue azioni, sempre coerente con i tuoi ideali di un tempo, che, a volte, mi sembrano così utopici. Eppure per te, non lo sono mai stati.

E io mi riprometto di leggerti di nuovo, come se fosse la prima volta e di riprendere in mano quella lista di tanti anni fa fatta di formidabili passioni.

Immaginandoti come una gabbianella che, ora, finalmente, ha imparato a volare. Forse, proprio grazie al tuo Zorba.

Ciao Luis, mancherai tantissimo.

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