Chissà quanti di voi, percorrendo la via che, da Bergamo, conduce a Seriate, si sono chiesti l’origine di quella grande porta squadrata, fatta di pietra chiara, che costeggia la strada: il “portone del diavolo”? Il diavolo, a dire il vero, non c’entra per niente: quello era, temporibus, l’arco trionfale d’accesso alla bellissima villa della famiglia Tasso, che si chiamava “La Geladina” e che oggi ospita molteplici manifestazioni e l’oratorio del quartiere.
Provate a chiudere gli occhi e a dimenticarvi del contesto: delle macchine, dei semafori, del mare di asfalto che, da decenni, ospita fiere e mercati, appena attraversata via Borgo Palazzo. Immaginate, invece, una via bianca di polvere, filari di siepi e, perpendicolare a quella, diritta come un fuso, una stradicciola in mezzo al verde che, dal portone, conduceva alla sontuosa dimora tassiana.
Quella era la Celadina, agli inizi del XVI secolo, anzi, la Geladina, come ancora si chiama in dialetto: oggi, la Celadina è un vasto quartiere dell’estrema periferia bergamasca, anzi, quasi una cerniera tra la città e il suo popoloso hinterland.
Negli anni, molte cose sono cambiate, a partire dal verde, che è solo un remoto ricordo. E poi le acque: le solite meravigliose rogge che, poco alla volta, sono state inghiottite dall’asfalto e dal cemento. Celadina era stretta fra la Roggia Morlana, la Morlino e il fiume Serio: oggi, non rimane quasi nulla di quell’intersecarsi di canali e canaletti, ma quel poco ci permette di immaginare, con una punta di nostalgia, come fosse un tempo quella campagna.
Giusto ai confini di Celadina con la città vera e propria, in via Daste e Spalenga, si può ammirare un bellissimo scorcio di come doveva essere tutta la zona: con la roggia, le case e la vecchia centrale, abilmente ristrutturata.
E, poi, c’è il quartiere. La Celadina, nata da una vocazione aristocratica ed agreste, è divenuta, nel secondo dopoguerra, un insediamento decisamente popolare: la sua edilizia e i suoi abitanti, però, appartengono a una generazione precedente, rispetto a quelle dei quartieri di cui ci siamo occupati nelle ultime puntate di On the Road. Si tratta di luoghi che ci parlano di una diversa idea di case popolari: casamenti vicini, come piccoli paesi, creati da un insieme di abitazioni; della simulazione di un’Italia ancora legata alla vita di cortile e alla socializzazione tra casigliani. Quasi un altro mondo.
Certo, la Celadina non è solo questo: ha una grande chiesa moderna, ospita le carceri, il mercato ortofrutticolo e perfino un’altra bella villa patrizia, poco nota perché un po’ in disparte, la “Galgana”. Ma per i Bergamaschi, la Celadina è soprattutto un confine, un’idea di quartiere, più che un luogo vero e proprio: è l’orizzonte della città, verso oriente. Sorpassato il “portone del diavolo”, il Bergamasco sente di lasciare Bergamo, quasi si recasse all’estero.
Non esageriamo: anche Seriate è Bergamo, ma, pure, dopo la Celadina, Città Alta ci pare più remota, quasi irraggiungibile. E proviamo sempre un fondo di nostalgia: anche se il nostro viaggio ci
porterà poco lontano. Anche se durerà solo un paio d’ore. Finché, al ritorno, il portone ci avvertirà che siamo a casa, che siamo tornati.
Ecco, questo, per me è Celadina: il preludio alla mia città, così bella, in fondo allo stradone.
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