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La testimonianza

Com’è cambiata la vita in una cooperativa sociale ai tempi del COVID-19?

Intervistiamo Debora Zanchi coordinatrice del Servizio Educativo Domiciliare e del Servizio Minori e Famiglie dell’Ambito di Bergamo e Giovanni Tosi, responsabile Settore Amministrazione Finanza e Controllo

In cooperativa molti servizi sono chiusi, un numero significativo di dipendenti ha dovuto pertanto rinunciare per il momento al proprio lavoro.

Alcuni però si sono trovati nella situazione di continuare a svolgere le proprie funzioni lavorando da casa.

Intervistiamo Debora Zanchi coordinatrice del Servizio Educativo Domiciliare e del Servizio Minori e Famiglie dell’Ambito di Bergamo e Giovanni Tosi, responsabile Settore Amministrazione Finanza e Controllo

Debora, com’è cambiato il tuo lavoro in queste settimane?

Dopo un’iniziale sensazione di spaesamento dominata dalle domande “Cosa posso fare?” “Cosa devo fare?” e “Cosa so fare?” in questa situazione di emergenza, ho pian piano messo a fuoco che il mio ruolo di coordinamento del Servizio Educativo Domiciliare e del Servizio Minori e Famiglie dell’Ambito di Bergamo poteva avere un senso anche nell’epoca “CoVid”.

E oggi, dopo un mese dalle prime misure di contenimento che mi hanno costretta a lavorare in gran parte da casa, oserei affermare di riconoscere a questo ruolo un senso forse ancora maggiore. Mi sembra infatti di aver focalizzato – come anche in altri aspetti della vita in questo periodo – ciò che di essenziale lo caratterizza.

Il tuo ruolo è cambiato?

Mi sono trovata a riorganizzare il lavoro dei due servizi che coordino tenendo presente gli interessi dei tanti soggetti coinvolti – famiglie, operatori, cooperative di appartenenza, consorzio, enti pubblici committenti – e scoprendo che alcuni di questi interessi, da sempre fisiologicamente in conflitto tra loro, non solo continuavano ad esserlo ma per certi versi lo erano ancora di più e che, oltre a non essere chiari, cambiavano pure in tempi brevi.  Come coordinatrice so di essere l’interfaccia tra il dentro e il fuori dei miei servizi e il mio compito è stato quindi di presidiare i tanti e a volte confusi processi che caratterizzano i periodi di incertezza come questo, cercando di comprendere e tradurre le indicazioni, alla ricerca di un minimo equilibrio tra le energie presenti “dentro” le equipe e le richieste, giunte da “fuori”, di risposta a vecchi e nuovi bisogni.

Com’è cambiato il lavoro con i colleghi e le colleghe con cui collabori?

Travolta dalle incertezze, ho sentito l’importanza di valorizzare le competenze professionali e umane presenti nell’equipe, di metterle in circolo affinché le famiglie che seguiamo potessero continuare a contare sulla consueta qualità degli scambi, dei sostegni, degli spazi di ascolto, delle proposte che i nostri educatori, educatrici e assistenti sociali hanno sempre garantito loro, certo in forme nuove ma con uguale attenzione. Infine ho sentito l’importanza di garantire agli operatori, a quelli di loro che ne avevano bisogno, uno spazio semplicemente di ascolto che accogliesse le fatiche dell’affrontare situazioni del tutto nuove che richiedono un ricollocamento per nulla automatico o da dare per scontato, riconoscendo le emozioni che ne derivano ma senza farsene sovrastare, per non perdere di vista il nostro comune orizzonte, quello di essere a fianco delle famiglie più fragili.

Giovanni Tosi

Giovanni, dicci in che momento ti incontriamo.

Sono alla mia nuova postazione di lavoro, sono le 16 e 30 del pomeriggio e come si vede sullo sfondo c’è la moka sul fuoco, fra poco pausa caffè…il tavolo è coperto dalle “carte”.

Ho la fortuna di poter lavorare da casa grazie alla tecnologia, gli oggetti di lavoro non sono cambiati molto, la fantastica “monotonia” dei numeri consente anche questo.

Quanti siete in famiglia e come funziona la convivenza?

Siamo in quattro, tutti a casa. Qualche giorno fa con i ragazzi abbiamo fatto questo gioco, abbiamo contato le piastrelle libere (perché io solo giochi numerici posso proporre…) per sapere quanto spazio reale calpestabile stavamo “consumando” sotto i nostri piedi.

Il risultato di 35 m2 per la dimensione lavorativa dei nostri spazi fra lezioni on line, compiti, video, social e speriamo un po’ di lettura, oltre a tutto il resto che c’è da fare in casa. Come se non si stesse lavorando o studiando.

Ma cosa vuol dire lavorare da casa?

Lavorare da casa è telefonare cercando un angolo riservato, lavorare da casa è prendere nota di quello che ti serve perché si va una sola volta in ufficio a settimana, lavorare da casa è portare a casa dei faldoni che toglieranno ulteriore spazio, lavorare da casa è che nonostante la fibra ci sono momenti in cui non va nulla, lavorare da casa è convivere con chi impasta il pane, la pizza, la torta, con chi fa le polveri, stira, lavorare da casa è ricordare ogni mezz’ora che lo spuntino non è ogni mezz’ora, lavorare da casa è spiegare che non è che puoi chiedermi una cosa di scuola ogni dieci minuti, lavorare da casa è continuare a telefonare al tuo compagno di ufficio o altre colleghe di Via Rovelli anche loro a casa invece che potergli parlare.

Insomma da casa si lavora meglio…solo quando non c’è nessuno a casa.

Che cosa ti motiva in questo momento così delicato per tante famiglie e tanti utenti della cooperativa?

Sono consapevole che a differenza di altri posso lavorare in un “guscio protettivo”, nel rendere lo scritto “leggero” non voglio mancare di rispetto a nessuno, il mio impegno “da casa” è anche quello di poter continuare ad aver cura delle persone accolte nei nostri servizi grazie al prezioso lavoro di colleghe e colleghi che in questa situazione non si sono di sicuro tirati indietro, anzi.

Cosa resterà di tutto questo al momento non lo so, sono ancora molto confuso. Stiamo a vedere.

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