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Il dibattito

Riaprire le chiese a Pasqua? La proposta di Salvini non piace ai parroci bergamaschi

Le reazioni alle parole del leader leghista: otto su dieci si dicono contrari

Se dovessero utilizzare uno slogan, pochi dubbi: sarebbe ‘prima la salute’. Non scalda i cuori dei parroci bergamaschi la proposta del leader leghista Matteo Salvini di riaprire le chiese a Pasqua. O, almeno, non scalda i cuori di quelli che abbiamo contattato per avere un’opinione, una decina in tutto: otto contrari, un astenuto e un solo favorevole.

L’ex ministro dell’Interno, in diretta tv a Sky Tg24, aveva specificato che per applicarla sarebbe necessario applicare tutte le misure di sicurezza richieste dal caso. “Sostengo coloro che in maniera ordinata, composta e sanitariamente sicura chiedono di entrare in chiesa – le sue parole -. La scienza da sola non basta, serve anche il buon Dio” per sconfiggere il virus. E ancora: “Si può andare dal tabaccaio perché senza sigarette non si sta, per molti è fondamentale anche la cura dell’anima oltre alla cura del corpo”.

Le reazioni

Finora la proposta ha incassato più reazioni negative che positive. Anche il governatore lombardo Attilio Fontana – che con Salvini condivide almeno la fede politica – si è detto perplesso.

“Io sto con quello che decide il Governo, non a quello che dicono alcuni politici senza saper bene per quali ragioni – è il commento di don Antonio Guarnieri, parroco a Nembro, epicentro dell’epidemia -. Qui abbiamo avuto moltissime perdite. Non mi lascio trasportare da certe uscite, ho più a cuore la salute dei miei parrocchiani. In questo momento alla distanza fisica sopperisce la vicinanza spirituale. E poi – sottolinea don Antonio – i fedeli possono seguire la messa in streaming”.

Sulla stessa linea d’onda don Giuseppe Locatelli di Albino, altro paese decimato dalla malattia. “Purtroppo – osserva – in questo periodo abbracci e strette di mano sono diventati armi letali, mentre la solitudine è un’azione virtuosa. Più ci sacrifichiamo adesso prima ne veniamo fuori, anche se questo comporta fatica e sofferenza”.

Dalla Valle Seriana alla Valle Brembana, dove l’attenzione mediatica è forse minore ma i numeri del contagio non sono certo più rassicuranti. È il caso di Zogno: nel solo mese di marzo sono stati 87 i morti. “Una realtà drammatica – taglia corto don Angelo Vigani -. Se il messaggio che si continua a dare è quello di stare a casa, mi sfugge il senso di questa proposta”.

Più possibilista don Roberto Mocchi, parroco a Botta di Sedrina. Pochi giorni prima che l’emergenza scoppiasse fu travolto dalle polemiche per avere benedetto la nuova sede della Lega, proprio alla presenza di Salvini (“ho benedetto la sede, non il politico – aveva replicato -. Ero lì solo per i miei parrocchiani”). Sulla suggestione del leader leghista: “Io sto alle regole e a quanto ci viene detto – premette – ma la situazione è pesante. Si potrebbe anche pensare a più messe spalmate sulla stessa giornata, con un numero limitato di persone, magari una per banco. Ovviamente prendendo tutte le precauzioni possibili ed immaginabili”.

Se nessun commento arriva dalla parrocchia di Ponte San Pietro, non hanno grossi dubbi i colleghi di altri centri abitati – grossi o piccoli che siano non sembra fare differenza – come Lovere e Tavernola sul lago d’Iseo, Dalmine, Levate e Caravaggio. “Se potessimo celebrare la Pasqua con la gente sarebbe tutta un’altra cosa, ma adesso è un rischio inutile – sostiene don Angelo Lanzeni, parroco nella cittadina della Bassa -. “Io sono in quarantena, ho preso il virus quando le misure di sicurezza erano più leggere. Ora credo di essere guarito, ma senza controlli e verifiche chi lo sa… Potrei involontariamente fare del male ai fedeli”. Le alternative, secondo lui, non mancano: “Abbiamo la radio parrocchiale e lo streaming che ci tengono in contatto con le famiglie. E poi vivere la pasqua in modo diverso non significa farlo meno intensamente. Tante persone – garantisce – dicono di non aver mai pregato tanto come in questo periodo”.

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