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L'intervista

Coronavirus, Roberta Villa: “Molti contagi in casa, non sottovalutiamo i sintomi lievi”

Abbiamo chiesto alla giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, un suo parere su come si sta evolvendo l'emergenza Coronavirus

“Non bisogna sottovalutare i sintomi lievi, altrimenti si rischia di contagiare chi ci sta vicino”. Così la giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, invita a ridurre la diffusione del Coronavirus anche quando si è a casa o in famiglia.

Il periodo che stiamo vivendo, segnato dall’emergenza sanitaria, è complicato: l’abbiamo intervistata per avere un suo parere su come si sta evolvendo la situazione.

Siamo arrivati al picco dei contagi?

Tutti speriamo in questo picco. Alcuni esperti hanno interpretato il segnale di ieri e dell’altro ieri, cioè il rallentamento dei contagi, come segnale della possibilità che ci stiamo avvicinando. È un’ipotesi comprensibile considerando che in questi giorni cominciamo a riscontrare gli effetti delle restrizioni stabilite due settimane fa, e ci aspettavamo questo rallentamento. Però dobbiamo stare attenti a non illuderci perchè il virus continua comunque a circolare e non appena caliamo le difese è possibile che torni a diffondersi in maniera esponenziale. Inoltre, occorre considerare che il picco potrebbe verificarsi in tanti modi.

Ci spieghi

Potrebbe avere tante punte e tanti focolai. Non dobbiamo aspettarlo come se fosse la soluzione perchè le epidemie hanno un andamento dinamico e variabile, in parte imprevedibile e il numero dei contagi può dipendere anche da piccoli focolai. È facile che ce ne siano diversi e colpiscano zone differenti con un’incidenza che a tratti aumenta e a tratti diminuisce. Difficilmente la pandemia verrà completamente eradicata nell’arco di poche settimane. Non si risolverà a breve e non possiamo affermare di resistere un mese e poi non ci penseremo più: temo che purtroppo dovremo imparare a convivere anche con questo pericolo, almeno finchè non ci sarà un vaccino efficace. Se ci sarà.

Ci sono dubbi sull’arrivo del vaccino?

Purtroppo si perchè la produzione di un vaccino è un’impresa complessa il cui risultato è tutt’altro che garantito. Pensiamo, per esempio, all’Hiv, il virus dell’Aids: dopo tanti decenni in cui i migliori laboratori del mondo ci stanno lavorando non sono ancora riusciti a trovarlo. E quello è un virus Rna come il Coronavirus, anche se il primo tende a mutare molto di più mentre questo sembra più stabile ed è un buon segno. D’altra parte abbiamo qualche indizio che ci desta preoccupazione dal fatto che sembrerebbe che l’immunità, cioè la protezione che acquisiamo nei confronti della malattia non sia permanente, cioè chi l’ha contratta non sarebbe completamente protetto dalla possibilità di riprenderla. In quest’ottica diventa difficile che un vaccino riesca ad avere risultati duraturi, ma è solo un’ipotesi e speriamo che non sia così.

Sul vaccino, però, sono in corso diversi studi

Si, almeno una trentina di laboratori nel mondo sta lavorando con diversi approcci e metodi alla produzione di vaccini diversi utilizzando tecnologie moderne e avanzate. Negli Stati Uniti la compagnia farmaceutica del Massachusetts, Moderna, ha già cominciato i test sugli esseri umani: i primi volontari lo hanno ricevuto. Si tratta di un vaccino Rna costituito dal materiale genetico del virus ma ancora non abbiamo nessuna idea della sicurezza e dell’efficacia. Più in generale, su scala globale ci stanno lavorando diverse realtà, anche il nostro Istituto Superiore della Sanità ha in corso una sperimentazione, e bisognerà vedere chi arriverà per primo all’obiettivo.

Si può ipotizzare una tempistica?

Sicuramente ci vorrà qualche mese, realisticamente un anno, anche se alcuni esperti sostengono che potrebbe arrivare prima: speriamo. Una volta che verrà approvato bisognerà avere la capacità di produrne le dosi sufficienti e si porrà il problema etico in merito a chi dare la priorità: agli operatori sanitari per proteggere il sistema perchè in questa crisi, come si vede a Bergamo, stanno cadendo soprattutto loro, oppure le persone più fragili come gli anziani? Sarà necessario fare queste scelte, perchè non saranno subito pronte 6 miliardi di dosi di vaccino.

È più facile che si trovi prima il farmaco adatto?

Si sta cercando di capire se tra i farmaci già esistenti ce ne sia qualcuno che possa funzionare. In alcuni ospedali, per esempio, hanno provato ad adoperare gli antivirali contro l’Hiv – e purtroppo uno studio ha rilevato un’efficacia inferiore rispetto a quanto si sperasse. In altri si sta sperimentando la clorochina, un farmaco che si utilizza contro la malaria e in altri ancora un farmaco contro l’artrite reumatoide chiamato Tocilizumab, che serve a ridurre la reazione infiammatoria nelle forme gravi ma non a curare la malattia. Si tratta di utilizzi sperimentali: al momento non c’è una cura risolutiva.

E per eventuali farmaci nuovi quali sono le prospettive?

Hanno un iter che non è molto più breve di quello dei vaccini. I farmaci che abbiamo sono già autorizzati, li conosciamo e sappiamo quali effetti collaterali possano avere, mentre una molecola nuova deve essere sottoposta a una sperimentazione animale e umana prima di essere approvata e autorizzata. Ci sono speranze su un farmaco sperimentale che si chiama Remdesivir, che era stato messo a punto per combattere il virus Ebola, che si sta provando a somministrare anche in Italia. Per ora, però, non abbiamo prove di efficacia di nessuno di questi farmaci e non sappiamo se arriverà prima il farmaco o il vaccino. Nel mondo tutti si stanno dedicando febbrilmente alla ricerca, anche perchè chiunque ci arriverà avrà un grande ritorno.

Quanto tempo ci vorrà prima di conoscere i risultati?

Non si riesce a fare previsioni precise. Per avere uno sguardo complessivo, però, l’organizzazione Mondiale della sanità ha avviato un mega studio chiamato “Solidarity” per testare i diversi filoni di approccio terapeutico intrapresi nei diversi Paesi per capire quale sia quello più efficace.

Per concludere, non resta che rispettare le regole anti-contagio

Certamente e c’è un altro messaggio che è fondamentale far conoscere a tutti: questa malattia si manifesta inizialmente con sintomi molto lievi, per diversi giorni si possono avere un malessere vago, poche lineette di febbre e una tosse secca, anche leggera. Con la percezione che giustamente abbiamo della gravità del Coronavirus per tutto quello che stiamo vedendo, siamo portati a pensare che non si tratti di questa malattia ma che per esempio abbiamo preso freddo. E questo può favorire l’aumento dei contagi.

In che senso?

Nel momento in cui abbiamo malessere, dolori muscolari, anche solo poca febbre e un po’ di tosse secca o perdita del gusto e dell’olfatto è importante contattare il proprio medico e soprattutto isolarsi il più possibile per non rischiare di contaminare altre persone. Non bisogna uscire e, se è possibile, cercare di creare le condizioni per isolarsi in una stanza: è fondamentale perchè la maggior parte dei contagi avviene nelle famiglie e nelle case proprio in questo modo. Non ci si deve spaventare, perchè generalmente passa come una banale influenza, ma se non proteggiamo gli altri, chi ci sta attorno potrebbe sviluppare forme più gravi, specialmente gli anziani. Soprattutto in un contesto come quello bergamasco, se si ha poca febbre e un po’ di tosse bisogna isolarsi, anche per lo svolgimento di piccole attività quotidiane.

Può fare un esempio?

Se si abita da soli in queste condizioni non bisogna andare a fare la spesa, nemmeno indossando la mascherina, ma chiamare un amico, un parente o un vicino e chiedergli di portarci quello che ci occorre fuori dalla porta. Senza osservare questi accorgimenti l’uscita dalla pandemia si prolunga perchè il problema non è il singolo sportivo che fa una corsa fuori casa (rispettando le regole anti-contagio), ma le persone che non stanno bene e trasmettono il virus.

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