Monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia di Bergamo, nel giorno della scomparsa di don Fausto Resmini (leggi), amato prete dei più umili, ricorda con lui i venti sacerdoti che ci hanno lasciato in queste settimane: uomini, uomini di Dio, ma sempre uomini.
Quando Dio ha creato l’angelo custode gli ha detto: “Illumina, custodisci, reggi e governa”, come ci insegna l’antica e bellissima preghiera popolare. Illumina le menti, custodisci i cuori nella buona e nella cattiva sorte, reggi-cura-plasma le coscienze, governa-guida-conduci le storie di ciascuno verso la speranza.
La stessa cosa dice ogni giorno a chi si fa prete: piangi con chi piange, sorridi con chi sorridi, ama con chi ama, soffri con chi soffre, sogna con chi sogna, lotta con chi lotta. Muori con chi muore.
Mi è venuto in mente questo pensando a don Fausto, un uomo che il Vangelo l’ha preso sul serio, lo ha fatto diventare vita, anzi anche morte: ha proprio giocato la “sua” vita fino in fondo perché qualcuno di nome Gesù gli aveva insegnato a dare la vita. È meraviglioso il ritratto che di lui ha fatto questa notte la sua comunità: “Don Fausto se ne è andato nel silenzio e nella solitudine della notte, proprio come molti uomini vissuti in strada di cui lui si è preso cura nel suo ministero”.
Così don Fausto è venuto alla luce, a quella luce di cui lui è stato una scintilla.
Certo in mezzo alla galassia degli ultimi, all’oceano della povertà, alla pandemia del dolore che ci attanaglia, la vita, ma anche la morte di don Fausto – uno tra i tanti senza nome – com’è stato lo stile della sua presenza evangelica, può sembrare un ago nel pagliaio. Oggi ci accorgiamo – tra le tante cose che questo virus ci sta facendo rendere conto – che lui era una scintilla nel pagliaio. È ben diverso. Così ha vissuto don Fausto, una scintilla nel pagliaio, per infuocare situazioni aride, per riscaldare cuori rattrappiti, per illuminare strade nel buio.
Una scintilla nel pagliaio, ciascuno a modo suo, sono stati gli altri 20 sacerdoti che la nostra diocesi piange in questi giorni, morti dal 6 marzo ad oggi:
don Alessandro Longo
don Battista Mignani
don Savino Tamanza
don Donato Forlani
don Ettore Persico
don Gugliemo Micheli
don Adriano Locatelli
don Enzo Zoppetti
don Francesco Perico
don Piero Paganessi
don Remo Luiselli
don Gaetano Burini
don Umberto Tombini
don Giuseppe Berardelli
don Giancarlo Nava
don Silviano Sirtoli
don Tarcisio Casali
don Achille Belotti
don Mariano Carrara
don Tarcisio Ferrari
Il prete ha dubbi e certezze, speranze e perplessità, illusioni e delusioni, sentimenti dolci e lacrime amare. All’altare o alla scrivania, per strada o in una sala di catechismo, durante una riunione o mentre confessa, il prete è un uomo.
Un uomo di Dio, ma sempre un uomo.
Un uomo che vibra, palpita, intuisce, sogna, progetta, soffre, ama. Molti pretendono che sia “un angelo”, senza ritardi, senza incoerenze, senza fragilità. Un “angelo profumato” su una nuvoletta bianca e non un prete che puzza di umanità con le mani sporche di fragilità. Gesù Cristo non è nato in una profumeria, ma in una stalla; ha frequentato ogni ambiente, ogni persona, anche la peccatrice e chissà cosa avranno pensato di lui.
Don Fausto non “faceva” il prete, era il suo “essere”. La gente non ha bisogno di maestrini, ma di testimoni credibili.
Per un prete vale quello che diceva di sé un pedagogista: “Io non insegno quello che voglio, non insegno neppure quello che so, io insegno quello che sono”.
Diceva San Francesco d’Assisi ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e – se fosse necessario – anche con le parole”.
E San Francesco di Sales ammoniva: “Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda”.
Grazie don Fausto, grazie confratelli, perché vedendo il vostro essere uomini, ci avete fatto venir voglia di chiederci chi è quel Dio di Gesù Cristo che vi ha dato la forza e la luce per essere stati piccole ma potenti scintille nel pagliaio delle nostre esistenze.
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