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La riflessione

Bergamo, ognuno ha un contagiato tra i conoscenti, troppi un morto da piangere

Nessuno di noi è uscito sul balcone a suonare. Nessuno è uscito ad applaudire. Abbiamo dentro una tristezza che ci impedisce ora di alzare la testa e di gridare che “sì, ce la faremo”.

Nessuno di noi è uscito sul balcone a suonare. Nessuno è uscito ad applaudire. Abbiamo dentro una tristezza che ci impedisce ora di alzare la testa e di gridare che “sì, ce la faremo”. Gli arcobaleni con la scritta “Andrà tutto bene” sono riservati ai bambini, solo perché, pur se angosciati e tristi, non ce la sentiamo di spegnere il sogno di un futuro colorato ai più piccoli. Ma…

Assunta, Rosetta, Franco, Antonia, Silvano, Maria, sono i nomi dei defunti degli ultimi giorni nel mio paese. Nomi e volti familiari. Genitori di amici che se ne vanno, che cadono come foglie dopo una notte di tempesta. Ognuno a Bergamo ha almeno un contagiato tra i propri conoscenti, se non un morto da piangere. E forse questo i media nazionali non lo hanno ancora detto e compreso.

Ogni mezzora o giù di lì arriva un messaggio: lui sta malissimo. Oppure, lei se n’è andata. O ancora: è intubato. Un amico, editore di un quotidiano ligure chiama: “Dai, non è vero quello che dicono di Bergamo che avete tutti quei morti? È un’esagerazione eh?”.

Fino a qualche giorno fa, pochi pochi, a dire il vero, non sembrava così… così… tragica la situazione nella nostra provincia. Anche se i segnali d’allarme c’erano tutti. Adesso invece nessuno può far finta che sia una situazione superabile. No, non vogliamo creare paure. Ma persino le parole del premier britannico Boris Johnson, che a molti sono sembrate strampalate: “Molte famiglie perderanno i loro cari”, noi bergamaschi le abbiamo comprese benissimo. Non occorre essere di Alzano o Nembro, paesi ritenuti focolai di questo virus mortale, per dire che nei nostri paesi le campane a morto ormai scandiscono il tempo e le sirene delle ambulanze annunciano che qualcun altro è stato colpito.

Solamente una settimana fa, sulle pagine Facebook dei nostri paesi “Sei di… se” erano tutti a caccia del contagiato. Una ricerca sciocca all’appestato. Sono bastate poche ore perché nessuno chiedesse più nulla: perché il virus che non fa sconti ha colpito qualcuno vicino, il collega, l’amico, il conoscente, se non un familiare.

È un tempo triste. Proprio come un esodo biblico, in questo tempo che per la cristianità corrisponde alla Quaresima, siamo smarriti nel deserto dell’impotenza, nella tristezza per chi se ne va e non ha nemmeno una carezza prima di morire e, dopo la morte solo una fugace e segreta sepoltura.

Il miraggio della “terra promessa”, da intendersi come un tempo nel quale riprendere a vivere, è lontanissimo. Stiamo solamente cercando di fermare il contagio, eppure contiamo morti: a Bergamo città una sepoltura ogni mezz’ora. Noi che siamo terra di grandi costruttori, di persone operose e intraprendenti, ci troviamo impotenti. Con le mani in mano, bloccati in casa come agli arresti domiciliari, e con annunci di morte che sembrano sentenze che spezzano il cuore. Anche ora ci sono nuovi colpiti e altri caduti in questa guerra impari.

Forse non si è capita a livello nazionale e internazionale questa ecatombe perché siamo un popolo schivo e riservato, difficilmente amiamo la ribalta. Eppure vorremmo gridarlo ai quattro venti a tutti coloro che ancora possono: restate in casa, proteggetevi. Questa tempesta che ha per nome corona virus sta portando via una generazione alla nostra società, un patrimonio di saggezza e di amore: non c’è tempo da perdere. Chi può e ha capito tiene i propri cari come sotto una teca, li venera come una reliquia. Evita loro qualsiasi contatto con il mondo esterno, perché sa che fuori da questa campana di vetro invisibile per loro sarebbe la fine.

No, anche se avremmo voluto, non abbiamo cantato e non abbiamo applaudito ai balconi: il cuore era gonfio di dolore.

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