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Analisi fisascat

Mamme lavoratrici, il part time non basta: “Servono strumenti a misura di famiglia”

Cala il ricorso al tempo ridotto: ”Terry Vavassori: “Nel commercio si fatica a capire i cambiamenti, vita e lavoro non si incontrano”

Aumenta l’occupazione femminile nel settore del commercio e servizi, ma in percentuale diminuisce il ricorso al part-time. È il primo segnale che balza all’attenzione se si leggono i report del Centro per l’Impiego della provincia di Bergamo tra 2018 e 2019.

Su 86.288 contratti avviati durante lo scorso anno a lavoratrici, quelli non a tempo pieno erano il 46%, un punto percentuale in meno rispetto alle colleghe dello scorso anno. Diventa il 50% se il focus riguarda solo le lavoratrici nelle fasce d’età tra i 30 e i 55 anni; esplode, toccando vette dell’80/85% se si tiene conto solo dei contratti in supermercati e iper, ma ovunque in calo rispetto al precedente rilevamento.

“I benefici di questo strumento vengono vanificati dalla collocazione oraria – dice Terry Vavassori, segretaria Fisascat Cisl Bergamo. Gli orari richiesti alle lavoratrici part time sono su misura del settore, e quindi i turni si verificano soprattutto quando aziende e scuole sono chiuse e i negozi si riempiono di clienti. In quest’ottica, la rinuncia a parte dello stipendio per accudire i figli, per esempio, va a cadere”.

Tra uomo e donna, nel commercio, l’incidenza del part-time è sproporzionata, e a danno delle lavoratrici: nei contratti a tempo determinato, sono part time il 56% delle donne contro il 33 degli uomini; nei tempo indeterminato, 53% è il part time femminile, 24 quello maschile.

Lo specchio degli iscritti Fisascat è ancora più implacabile: nel commercio, il 54% delle tesserate Cisl è part time, contro il 16% degli uomini; il confronto nel turismo è di 80 a 38, e nel comparto multiservizi la differenza è tra ml’86% femminile e il 34% maschile.

“Vent’anni fa il lavoro femminile era una scelta. La crisi ci ha insegnato che le famiglie monoreddito sono ad alto rischio povertà; il lavoro femminile è indispensabile ad una famiglia per la propria tranquillità, non di meno la società e l’ economia del sistema paese hanno necessità della massima occupazione, e quindi del lavoro femminile. Si ricorda l’ accordo di Lisbona dove l’obiettivo era arrivare al 60% dell’ occupazione femminile, necessaria per mantenere anche il welfare state agli attuali standard. Tutto ciò ci dice che serve un progetto di ampio respiro per affrontare la questione di conciliazione dei tempi per la famiglia e quelli di lavoro. Non è un problema delle donne, è un problema che coinvolge l’intera famiglia e la società”.

Non solo part time, dunque, ma un insieme di misure: “Occorre promuovere il lavoro agile come strumento ottimale. L’emergenza di questi giorni ci ha dimostrato che non è impossibile, semmai, dal punto di vista sindacale dovremmo chiedere che siano attivati opportuni sostegni ad investimenti in tal senso; poi, scuole e asili più flessibili alle necessità, magari anche integrati a centri ricreativi e doposcuola, strutturati in misure più adatte alle reali necessità”.

“La Fisascat di Bergamo da tempo sta promuovendo alcuni di questi strumenti, poche volte ha trovato aziende ‘illuminate’ pronte ad accoglierli, spesso abbiamo avuto risposte negative, oppure
solo dichiarazioni di intenti senza atti concreti. Abbiamo fatto accordi dove le aziende si impegnavano a valutare il lavoro agile, mai applicato perché dichiarato non confacente alla propria organizzazione, ma ora, a seguito dell’emergenza, lo stanno utilizzando a pieno regime. Abbiamo proposto a 2 centri commerciali un’area doposcuola per i figli dei propri dipendenti, a sostegno e in aiuto per la gestione dei bambini, senza alcun riscontro. Purtroppo dobbiamo rilevare, che in un mondo che cambia, cambia la cultura delle persone, cambia profondamente la famiglia, ma negli ambiti dell’economia, degli imprenditori e della politica, si fa fatica ad accogliere i cambiamenti”.

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