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Il racconto

Coronavirus, bergamaschi rifiutati a Tel Aviv: “Niente ostello e chiusi in aeroporto”

Parlano due amici, di rientro da Israele: "Additati e confinati solo perchè italiani. Una situazione forse dovuta anche ai toni con cui in Italia si è descritto il problema".

Cinque giorni tra relax e i paesaggi carichi di storia di Israele: se l’erano immaginata più o meno così la loro vacanza Andrea Pizzetti, 22enne di Covo, e un amico che, zaino in spalla, erano partiti alla volta di Tel Aviv dall’aeroporto di Orio al Serio nella mattinata di domenica 23 febbraio.

Il loro viaggio era iniziato sotto i migliori auspici, nonostante la provincia di Bergamo si stesse apprestando a vivere la prima giornata di emergenza dovuta al Coronavirus.

Ma le notizie che negli ultimi giorni sono rimbalzate con insistenza dall’Italia non hanno mai condizionato il loro tour, tra Gerusalemme e Tel Aviv. O almeno non fino alla serata di giovedì 27 febbraio.

“Avevamo saputo che Israele aveva bloccato i voli dall’Italia – spiegano i due amici – ma non potevamo minimamente immaginarci quanto stava per accadere. Giovedì siamo rientrati a Tel Aviv, attorno alle 7.30. Dopo aver cenato fuori ci siamo diretti all’ostello dove avevamo prenotato. Una volta arrivati abbiamo consegnato i nostri passaporti per il check-in ed è stato in quel momento che siamo finiti in un vortice di eventi assurdi”.

Appena notata la loro provenienza, infatti, all’accettazione dell’ostello dicono, con sincero dispiacere, di non poterli ospitare: “Avevano avuto precise direttive dal governo israeliano di non accettare italiani – continuano – Sono stati attimi di forte imbarazzo, pensavamo fosse tutto uno scherzo. Eravamo in Israele da cinque giorni e all’improvviso la struttura che avrebbe dovuto ospitarci per l’ultima notte ci ha rimbalzati. Ci hanno offerto acqua e succo di frutta, proponendoci come unica soluzione il pernottamento in una camera privata, senza la possibilità di uscire. Non ci hanno nemmeno permesso di depositare i bagagli”.

Non esattamente l’ultima serata che si erano immaginati.

Dall’ostello si sono così incamminati sul lungomare di Tel Aviv, dirigendosi verso l’ambasciata italiana.

“Il console ci ha accolti benissimo e ci ha spiegato come gli israeliani avessero predisposto un’area apposita per i cittadini italiani all’aeroporto – raccontano – Abbiamo preso un taxi e siamo andati lì, con la forte preoccupazione che ci potessero trattenere in quarantena in Israele per due settimane. Siamo arrivati 14 ore prima del nostro volo, previsto per il primo pomeriggio di venerdì, confinati in una piccola zona sotto il controllo visivo dei funzionari del governo. Non potevamo muoverci, gli altri turisti ci facevano foto e video da lontano. Una situazione assurda, abbiamo proprio percepito il razzismo nei nostri confronti, solo perchè eravamo italiani. Ma non abbiamo alcun sintomo del Coronavirus”.

Finchè non si sono imbarcati sul volo Ryanair che li ha riportati a Orio al Serio alle 15.40 di venerdì, non sono mai stati certi di poter rientrare in Italia: “L’unica nota positiva è stato l’interessamento del console italiano che è rimasto in costante contatto con noi – sottolineano i due amici – La nostra vacanza è stata fantastica, davvero, ma le ultime 14 ore sono state tutt’altro che simpatiche, con la paranoia della quarantena”.

La “ciliegina sulla torta” al momento dei controlli: zaini svuotati completamente di tutti gli effetti personali, infinite domande sui motivi del soggiorno e sulle ragioni dei precedenti viaggi registrati sui passaporti, tamponi antidroga e bodyscanner.

“Sull’aereo eravamo in 38 persone – concludono – Una situazione surreale, mai vista. Non ne facciamo una colpa solo del governo israeliano: crediamo che quanto ci è successo sia stata una precisa conseguenza dei messaggi che arrivavano a livello istituzionale dall’Italia, dove l’emergenza veniva descritta con termini e toni gravissimi. L’allarmismo italiano ha creato quelle condizioni”.

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