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Marcus King con “El dorado” cambia rotta, ma si conferma artista di qualità

Decisamente un bel disco, e non era facile dare seguito a "Carolina Sessions" con un prodotto almeno confrontabile. Marcus King ci è riuscito e si conferma artista di spessore e cantante di qualità. Inizia da subito l’attesa per la prossima uscita

Artista: Marcus King
Titolo: El dorado
Voto: ****

Marcus King giunge alla pubblicazione del suo quarto album, il primo interamente a suo nome, senza il supporto della band omonima. La precedente uscita, Carolina Sessions, era stata una sorpresa tanto da farmi considerare il lavoro, il migliore del 2018.

El Dorado segna un evidente cambio di rotta grazie, probabilmente, alla produzione affidata a Dan Auerbach, il 50% dei Black Keys, uno che di musica se ne intende, che nel passato ha dato a più riprese segnali di gusto e lasciato tracce di una conoscenza enciclopedica della musica.

Le canzoni sono state registrate negli studi di quest’ultimo, in tre giorni, quasi in presa diretta, con il contributo di un artista sconosciuto che nella sua carriera ha raccolto di gran lunga meno di quanto avrebbe meritato: Pat Mclaughlin autore, tra gli altri, di un lavoro di circa 30 anni fa intitolato Wind it On up, passato sotto silenzio, ma che invece consiglio vivamente a ogni fan di Van Morrison, di Clapton e di tutti gli artisti che affondano le proprie radici nel blues piuttosto che nel soul e che in qualche modo hanno Dylan nel cuore.

Mentre Carolina Sessions è una sorta di manifesto di tutta la musica sudista che ha nella Allman Brothers Band, nei Doobie Brothers i riferimenti del passato e la Tedeschi Trucks band piuttosto che i Gov’t Mule quelli del presente, El dorado ci regala un artista diverso.

Il lavoro, abbandonate le chitarre roventi e quindi l’attitudine a stupire musicalmente, ci offre una diversa prospettiva dell’artista dando ampio spazio a ballate avvolgenti ed evidenza alla voce, per certi versi accostabile a quella di Rod Stewart e di alcuni dei grandi interpreti del soul, Otis Redding in testa.

Carolina Sessions conteneva più canzoni memorabili e forse qualcuna, molto rara, non all’altezza. Qui vi sono meno picchi, ma generalmente il tasso qualitativo è alto e l’album ha uno suo sviluppo omogeneo che in tutto il suo scorrere lascia nelle orecchie dell’ascoltatore un senso di grande piacevolezza. Come nell’iniziale Young Man’s Dream, dove la melodia, prima puntellata dalla presenza solo della voce e della chitarra acustica, e poi da una strumentazione più ricca capace di dare ampiezza al brano e di farci apprezzare per intero l’arrangiamento discreto ma incisivo, è splendida o in Sweet Mariona dove è ben evidente l’influenza di tutta la musica country rock degli anni ’70 e della Allman Brothers band , con tutti i suoi pro e i suoi contro tra cui una certa retorica nel proporre, a volte, quadretti sin troppo sdolcinati.

Influenza confermata dalla movimentata Too Much Wiskey (il titolo non è granché originale) che diverte grazie al ritmo, alla presenza del suono dell’armonica e di quello della steel guitar: il brano è semplice e riporta alla mente la Marshall Tucker Band e scorre via in un attimo quando ancora stai battendo il piede a tempo.

Ma che Marcus King sia cresciuto a “pane e musica soul” è evidente e in particolare lo è quando intona Wildflower & Wine uno “slow” dove Otis Redding e i Commitments sono proprio dietro l’angolo e l’arrangiamento scelto è puro Stax Style.

Stessa attitudine che è manifesta in Beautiful Stranger, un brano languido con una bella melodia e l’insieme degli strumenti a creare un’atmosfera che sta tra il country e il soul, con tanto di cori che tendono al gospel e steel guitar a ricordarci dove ci troviamo.

Ma Marcus King è soprattutto un chitarrista e un uomo del Sud e quindi è ovvio che una rispolveratina dei ritmi e dei generi degli album precedenti sia naturale. Ed è così che The Well, introdotta da un riff di chitarra che mi ricorda qualcosa di già sentito nei primi dischi della PFM (!!!???) , è un brano serrato, arrembante nel quale l’amore verso il blues è evidente, e dove l’artista ha l’occasione di mettere in mostra le sue qualità di eccelso chitarrista. Stessa opportunità che offre Say You Will, brano scelto come apripista dell’album, troppo poco raffinato rispetto al resto del repertorio mentre One day She’s the One, benché abbia una struttura non troppo originale, convince indubbiamente di più.

Chiudono il cerchio due chicche: Love Song che sembra tratta da qualche disco di Anita Baker e la bellissima No Pain, un brano rarefatto, elegantissimo che pare aprire l’arte di Marcus King verso nuovi lidi.

El Dorado è decisamente un bel disco e non era facile dare seguito a Carolina Sessions con un prodotto almeno confrontabile. Marcus King ci è riuscito e si conferma artista di spessore e cantante di qualità. Inizia da subito l’attesa per la prossima uscita. Assolutamente da ascoltare.

Il brano di punta: No Pain

Se ti piace ascolta anche: Otis ReddingOtis Blue

Legenda giudizio

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*** buono
** mediocre
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