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Il processo

“Rogo dei tir a Seriate, un’estorsione ndranghetista: i retroscena dell’indagine” video

Il maresciallo capo Airoldi ha spiegato il complesso lavoro per risalire ai presunti responsabili dell'incendio alla Ppb nel 2015 "con personaggi legati all'ndrangheta"

È da poco passato mezzogiorno di mercoledì 5 febbraio e in aula viene pronunciata la parola “‘ndrangheta”. La usa il giovane maresciallo capo Carlo Airoldi per illustrare i precedenti di un imputato. Non siamo a Reggio Calabria, ma al tribunale di Bergamo, anche se la maggior parte dei coinvolti sono originari proprio della provincia dello Stretto.

Uno di loro la notte del 6 dicembre 2015, a Seriate, commette una leggerezza non degna del suo curriculum criminale: si taglia nel maneggiare una tanica di benzina, che poi abbandona dopo aver appiccato il fuoco alla Ppb Trasporti. Secondo il pubblico ministero di Bergamo Emanuele Marchisio e Claudia Moregola della Procura Distrettuale, per un’estorsione di stampo ‘ndranghetista.

Da una traccia di sangue rinvenuta su quella tanica e dalle celle telefoniche, gli investigatori hanno ricostruito chi avrebbe mandato in fiamme una quindicina di automezzi dell’azienda che si occupa di trasporto di prodotti ortofrutticoli e chi avrebbe commissionato quell’incendio: Giuseppe Papaleo, 50 anni, con una società nello stesso settore, la Mabero di Bolgare. Lo avrebbe fatto per colpire il rivale Antonio Settembrini, 55enne di Grassobbio, titolare della Ppb, parte offesa ma pure imputato in abbreviato a Brescia, perché dopo quell’episodio avrebbe arruolato il pluripregiudicato (calabrese) Carmelo Caminiti per vendicarsi.

Sette gli imputati a processo a Bergamo,  con capi di accusa pesanti: associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.

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Nel corso dell’udienza di mercoledì è stata ripercorsa la complessa indagine che ha portato all’individuazione dei presunti responsabili del rogo di Seriate. Tra il pubblico anche Monica Forte, presidente della commissione speciale Antimafia della Regione, e alcuni militanti dell’associazione Libera.

Protagonista il maresciallo capo del Nucleo investigativo di Bergamo Airoldi, che ha preso parte alle indagini del Comando provinciale e dei colleghi del Ros. “Dai filmati delle telecamere di quella notte si vedono due persone che prima, intorno alle 2.15, effettuano un sopralluogo e poi se ne vanno – le parole del militare di fronte alla corte presieduta dal giudice Donatella Nava – . Cinque minuti più tardi tornano e sono in tre. Per la scarsa qualità delle immagini non si vedono i loro tratti somatici. Rompono i finestrini degli autoarticolati, li riempiono di benzina e innescano le fiamme”.

Il titolare della ditta, Settembrini, denuncia il fatto, parla di un altro episodio simile avvenuto nel 2014 e indica il rivale in trasporti Papaleo come possibile responsabile. I carabinieri mettono sotto controllo i telefoni dei coinvolti. Quello che emerge è una faida tra autotrasportatori orobici in salsa ‘ndranghetista.

Il 29 marzo 2016 la Sab Ortofrutta di Telgate organizza una sorta di gara d’appalto per il trasporto dei suoi prodotti. Partecipano la Ppb, la Mabero e la Frigor Trasporto Orobico di Luca Bellani, quest’ultimo in ottimi rapporti con Papaleo tanto da dividersi spesso le consegne. E se la aggiudica lui.

L’esito non va giù a Settembrini, che con la sua Ppb aveva già un pre-accordo con la Sab: “In quei giorni – prosegue il maresciallo capo Airoldi – chiama un suo conoscente calabrese residente a Cenate Sotto, Antonio Rago, risultato al vertice di un’organizzazione sospetta dedita al recupero crediti, che a sua volta contatta Carmelo Caminiti, detto Zu Carmelo, e Antonio Pizzo a Reggio Calabria, entrambi della nota cosca dei De Stefano”.

ndrangheta

I due salgono a Bergamo e alloggiano in un hotel di Zanica: “Dalle chiamate emerge che, attraverso alcuni incontri con loro, avrebbero messo pressioni a Bellani e Papaleo per non far perdere il lavoro a Settembrini”. E infatti, il primo marzo, quest’ultimo chiama la Sab e riferisce che Bellani ha fatto un passo indietro.

Nel frattempo le indagini sull’incendio alla Ppb vanno avanti. I carabinieri iniziano a controllare anche il telefono di un commercialista che Papaleo ha conosciuto in una sala slot di Grumello del Monte. Da lui risalgono a un certo Mimmo, Domenico Lombardo di Reggio Calabria, ma residente a Rovato (Brescia): “Il suo numero di cellulare viene localizzato la notte del 6 dicembre 2015 per tre volte nei pressi dell’azienda di Settembrini – aggiunge il carabiniere – . E una volta per una chiamata ricevuta da Giovanni Condò, calabrese di Gavardo (sempre nel Bresciano, Ndr) che risulta essere anche lui nella zona del rogo”.

Il 16 giugno Lombardo e Condò, ritenuti due degli autori materiali dell’incendio, vengono invitati al Comando provinciale dei carabinieri di Bergamo “per motivi di giustizia”. Riescono a rimandare di qualche giorno “per accordarsi sulla versione da fornire e al telefono iniziano a parlare in codice: la caserma diventa il cantiere, ad esempio”, spiega Airoldi.

Dopo l’interrogatorio, Condò va a trovare un amico bresciano, Mauro Cocca, in quei giorni ricoverato in ospedale. “Da un’intercettazione ambientale emerge che i due discutono del rogo alla Ppb. Condò dice che il sangue sulla tanica è suo. Cocca ne parla anche con la moglie. Da lì individuiamo lui come terzo uomo presente a Seriate quella notte e alla fine delle indagini li arrestiamo”.

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