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L'intervista

Al Teatro Sociale Il giardino dei ciliegi: “Storia che riguarda tutti noi”

Nicola Borghesi, regista e protagonista insieme a Tamara Balducci e Lodovico "Lodo" Guenzi, voce dello Stato Sociale, ci racconta lo spettacolo, un'originale rivisitazione del classico di Anton Čhecov

Casa è dove possiamo essere noi stessi, è il luogo che ci appartiene per legame e non per diritto di proprietà. L’amiamo perché la sentiamo nostra, come ci sentiremmo se dovessimo lasciarla dall’oggi al domani? Altri Percorsi, rassegna di prosa della Fondazione Teatro Donizetti, apre la stagione con questa domanda, portando a Bergamo “Il giardino dei ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso”, in scena al Sociale giovedì 30 gennaio.

Lo spettacolo è una originale rivisitazione del classico di Anton Čhecov ad opera della compagnia bolognese Kepler-452, una piacevole novità per il pubblico bergamasco. In scena Nicola Borghesi, anche alla regia, Tamara Balducci e Lodovico “Lodo” Guenzi, voce del gruppo Lo Stato Sociale. Insieme a loro ci saranno Annalisa e Giuliano Bianchi, i veri protagonisti della vicenda, sul palco e nella vita reale. Dopo trent’anni di felicità, in un contesto di accoglienza e condivisione, hanno ricevuto un ordine di sgombero.

Il giardino dei ciliegi
Ludovico Lodo Guenzi è tra i protagonisti dello spettacolo

Quella poposta da Kepler-452 è forma di teatro “partecipato” di cui oggi abbiamo bisogno. “C’è un mondo la fuori che preme. Bisogna scavare nei margini dove il tessuto sociale si sfilaccia e ci sono dei problemi”, racconta Nicola Borghesi.

È la nuda, cruda realtà ad andare in scena, quella che non può e non deve lasciare indifferenti

La storia di questo spettacolo nasce da un incontro. Ce lo racconta?
Da alcuni anni portiamo in scena storie prese dalla realtà, solitamente insieme alle persone che sono protagoniste di queste vicende. È il teatro partecipato. In questo caso abbiamo cercato di portare in scena un testo classico facendolo interpretare a dei non professionisti, cercando una storia che fosse simile a quella di Ljuba e Gaev, i personaggi dell’opera di Čhecov. Dopo una lunga ricerca, abbiamo incontrato Giuliano e Annalisa Bianchi: sono loro i protagonisti della nostra storia.

Esistono tanti “giardini dei ciliegi”, tanti luoghi del cuore impregnati di vita. Perché avete scelto proprio la storia di Giuliano e Annalisa?
Per motivi empiricamente di affinità umana con loro, ma non solo. La storia di Giuliano e Annalisa ha un reticolato di eventi che li legano fortemente a quelli di Ljuba e Gaev. Tra le tante storie conosciute era sicuramente quella con più motivi di analogie. Più passavamo del tempo insieme, più il legame cresceva.

In questo spettacolo realtà e messinscena si mescolano a sorpresa. Giuliano e Annalisa saranno sul palco insieme alla compagnia. Come li avete convinti?
È stato un lungo e faticoso corteggiamento. La prima risposta è stata “no”. Giuliano e Annalisa non volevano portare in scena il momento dello sgombero, troppo duro da rivivere. Poi, con il tempo, li abbiamo convinti. Inizialmente sarebbero stati solo Ljuba e Gaev, man mano le cose sono cambiate e Giuliano e Annalisa ci hanno regalato pezzi preziosi della loro storia. Li abbiamo convinti perché si è creato un forte legame di amicizia e di fiducia.

Il distacco forzato dalla propria casa, che sia di proprietà o in comodato d’uso, è un momento di dolore. Come lo racconterete?
Il momento dello sgombero è sfuocato nella memoria di Giuliano e Annalisa, proprio perché è un momento di grande dolore. Arriverà solo alla fine dello spettacolo, ma non è fissato. Sarà il pubblico insieme a noi di perdersi in questo ricordo non lucido, come sono le memorie dei traumi.

Lo spettacolo è in scena da più di un anno e continua a migrare di teatro in teatro. È perché oggi abbiamo bisogno di ascoltare storie di questo tipo?
Si, sono d’accordo. Nel mondo della cultura si parla sempre di casta, ma c’è un mondo la fuori che preme. Bisogna scavare nei margini dove il tessuto sociale si sfilaccia e ci sono dei problemi. Il tutto deve essere fatto senza finzioni ed è questo che facciamo con il nostro lavoro. Andiamo là dove il nostro sguardo non si posa.

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