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La mamma

Kobe Bryant è morto: l’ho dovuto dire al mio giovane figlio che l’adorava, spezzandogli il cuore

“È tutta questione di testa mamma. Tecnica e concentrazione. Eppoi sai, dice lui che dal campo devi uscire felice, non per forza vincente".

C’era una volta un bambino.

Era carino e sorridente. Sensibile, tanto.

E no. Decise che il calcio non era proprio il suo sport.

Viveva in un quartiere di una cittadina della provincia lombarda, quei quartieri in cui ci sono mille volontari, che, tra le altre cose, organizzano le sezioni delle polisportive.

E allora il bimbo decise per il minibasket.

A Natale ricevette in dono la una divisa gialla e viola.

Era quella dei Los Angeles Lakers, e dietro c’era scritto Bryant. K. Bryant.

Fu subito amore.

Si fece regalare un libro, Black Mamba, che parlava proprio di lui. Questo cestista altissimo e buono, che parlava un italiano perfetto, un eroe del parquet.

Il bimbo cresceva e passava i pomeriggi di ozio a raccontare alla mamma come Kobe si concentrasse per affrontare i quattro quarti di gioco.

“È tutta questione di testa mamma. Tecnica e concentrazione. Eppoi sai, dice lui che dal campo devi uscire felice, non per forza vincente”.

Gli brillavano gli occhi quando raccontava. Eccome.

Ma ecco.

Questo bimbo tra pochi giorni diventerà maggiorenne.

È diventato alto, e tignoso.

Come il suo idolo, che però è morto stasera, con una delle belle figlie.

Quando poco fa gliel’ha detto, la mamma ne ha sentito andare in frantumi il cuore.

Ma diventare adulti vuol dire anche imparare a fare i conti con la morte.

Sapendo che in fondo i veri campioni vivranno per sempre.

Come riferimento senza tempo per uomini sensibili.

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