• Abbonati
L’intervista

Alessandra e Alieu, l’amore complicato che supera i confini: “Ci siamo inventati una lingua tutta nostra”

Stare insieme non è facile: Alieu è richiedente asilo, gira l’Europa nella speranza di ottenere un documento che lo faccia restare; e poi ci sono le incomprensioni. Ciò che li lega però è più forte, e fa nascere un “mondo di mezzo” dove le differenze linguistiche, religiose e culturali si attenuano

Nel cuore di Alessandra l’Africa è vicina, quasi come se fosse casa. Lo è ancor più quando Alieu racconta le sue storie di vita quotidiana, quando viveva in Gambia.

Alessandra e Alieu si conoscono in un centro di accoglienza: lei operatrice, lui ospite, si piacciono subito e scelgono di vivere la loro storia, nonostante tutto, nonostante tutti. Stare insieme non è facile: Alieu è richiedente asilo, gira l’Europa nella speranza di ottenere un documento che lo faccia restare; e poi ci sono le incomprensioni, la distanza. Ciò che li lega però è più forte, e fa nascere un “mondo di mezzo” dove le differenze linguistiche, religiose e culturali si attenuano, dove Alessandra e Alieu si incontrano a metà strada, restando sé stessi.

Come vi siete conosciuti?

Ci siamo conosciuti nel 2015: lavoravo in un centro di accoglienza e lui era un ospite. La struttura all’epoca era piccola e c’erano pochissimi operatori, quindi il rapporto era strettissimo con i ragazzi: l’ho conosciuto lì, ma abbiamo approfondito la nostra conoscenza mentre io ero in Senegal, perché lui ha una parte della sua famiglia che viene dalla zona dove mi trovavo io in quel momento, quindi abbiamo iniziato a parlare di quello, ci siamo sentiti di frequente.

Poi quando sono tornata al lavoro abbiamo iniziato a parlare del mio viaggio e… da cosa nasce cosa, abbiamo capito che c’era qualcosa tra noi e quindi abbiamo iniziato a frequentarci fuori dal centro.

Dopo un mese dall’inizio della nostra frequentazione ho parlato con una mia collega, le ho detto “Mi trovo in questa situazione… Non voglio lavorare nello stesso posto in cui abita la persona che sto frequentando, perché dovrei essere l’operatrice e non riesco, ma soprattutto perché se si sparge la voce tra gli altri ragazzi perdo di credibilità. Trovami una soluzione, o sposti lui o sposti me.”

Io ero molto spaventata perché avevo iniziato a giugno e noi ci siamo conosciuti poco dopo, quindi ho pensato “Oddio, adesso vado a dire al capo che mi sono innamorata, che figuraccia”. Invece mi ha detto che succede spessissimo, basta pensare alla situazione: molte operatrici giovani sono super esposte e cento ragazzi giovanissimi, che tra parentesi non vedono l’ora di fidanzarsi con una persona europea! E quindi non sono la prima e non sarò neanche l’ultima.

A questo punto io e il capo abbiamo concordato che sarei stata spostata in un altro centro; lui sarebbe rimasto lì, dove aveva tutti i suoi amici e poi se l’avessero spostato gli altri si sarebbero chiesti il motivo. Spostare un operatore è molto più facile.

All’inizio ho vissuto benissimo questa situazione, perché pensavo di essere giudicata in maniera negativa dai miei colleghi, dai miei responsabili, ma poi ho scoperto che non ero la prima persona a cui succedeva, quindi assolutamente non è successo niente.

Cosa ti ha colpito di lui?

Eh… Io sono molto affascinata, sono innamorata, dell’Africa in generale, ci sono già stata un paio di volte. Una parte di me secondo me è africana, perché mi sento molto vicina ad alcuni modi di fare, li capisco molto bene e quindi non ho difficoltà a relazionarmi. Questo mi aiuta tantissimo sul lavoro, perché ci sono situazioni che normalmente farebbero arrabbiare, ma non me.

Lui si è interessato ai viaggi che avevo fatto in precedenza, perché anche lui ha viaggiato un prima di venire in Italia: abbiamo iniziato a parlare di viaggi, di Africa, di quel mondo un po’ strano, un po’ lontano e… Piano piano ci siamo innamorati [ride]

Lui ti ha detto cosa l’ha colpito di te?

La prima cosa che mi ha detto quando ci siamo visti la prima volta è stata “io sono metà italiano, metà africano” e lui dice la stessa cosa di me, cioè che io sono metà africana e metà italiana. Quindi penso che sia questo, infatti quando torno dall’Africa sto male, mi manca tantissimo. Noi parliamo tantissimo di casa sua, della sua famiglia, dei suoi genitori, delle situazioni quotidiane.

Ci siamo incastrati, come diciamo noi. In realtà la relazione in una coppia mista è difficilissima, io ho incontrato un sacco di difficoltà, nonostante fossi in un certo senso avvantaggiata, è difficile capirsi.

Noi ci diciamo che abbiamo creato un mondo nostro che è un po’ un mix tra le mie origini e le sue, come nel caso della lingua che usiamo per parlare: lui non parla bene l’italiano, quindi parliamo principalmente inglese, ma è un inglese che nessun altro capirebbe, perché è un mix di inglese, italiano, il suo dialetto… Abbiamo anche inventato delle parole per definire dei concetti che conosciamo. È una lingua nostra, nessun altro potrebbe capire quello che ci stiamo dicendo! Questo riguarda un po’ tutta la nostra relazione, è un mondo a parte, a volte è strano.

Quando lui esce con i miei amici non è totalmente a suo agio purtroppo, perché non si conoscono e non conoscono i rispettivi contesti di provenienza, quindi c’è un divario che spero diminuirà con il tempo, magari anche quando Alieu conoscerà meglio l’italiano.

Quando parli di difficoltà della coppia mista intendi che c’è questo mondo di mezzo che gli altri non riescono a raggiungere?

Esatto, cioè… Con i miei parenti abbiamo poco a che fare: lui li conosce, però non ci frequentiamo spesso proprio perché percepisco questa distanza.

Da parte dei suoi amici gambiani, o di altri Paesi africani non c’è questa distanza, ma ci sono comunque alcune difficoltà, ti faccio degli esempi: secondo un africano, il fatto che tu sia la fidanzata di un loro amico automaticamente è sinonimo di essere una persona di famiglia. A livello linguistico ad esempio io per i suoi amici sono la loro fidanzata; la stessa situazione l’ho riscontrata lavorando con le donne, che chiedono alla mediatrice “fammi vedere le foto di mio figlio”, riferendosi al figlio della mediatrice, perché di fatto è una vita di comunità e quello che è tuo, è anche mio. Purtroppo questo dà il diritto ai suoi amici di invadere troppo il mio spazio, che invece per me, essendo italiana, è fondamentale, noi viviamo come individui.

Secondo me i popoli africani non collaborano tra di loro, ci sono molte gelosie. Lui dice di non avere amici in Europa, perché lui è arrivato qua da solo, quindi anche i suoi connazionali gambiani non sono amici, sono suoi connazionali.

Alcune di queste persone sono state molto gelose della nostra relazione, perchè lui è un richiedente asilo che si è fidanzato con una ragazza bianca, che ha i documenti e che sarebbe pronta a sposarlo. E questo fa in modo che circolino delle voci nella rete gambiana, non vere, solo per cercare di lontanarci. Oppure al contrario: un gambiano sa che sono fidanzata con un suo connazionale, pensa che quindi potrei stare anche con lui; questo mi ha creato un sacco di problemi, perché io lavoro con uomini richiedenti asilo africani, ho dovuto far capire ai miei ospiti che sono interessata ad Alieu, non ai gambiani in generale. E tutto ciò senza essere troppo esplicita, perché non potrei parlare della mia vita privata. All’inizio quindi è stato difficile, perché sentivo questo giudizio.

Lui ha percepito le difficoltà che per questo motivo si creavano nel quotidiano e quindi mi ha detto “non possiamo cambiare la cultura gambiana, però dobbiamo trovare una mediazione”. Ovviamente non potrò mai andare dai suoi amici a dire “come ti permetti di dirmi questo?”. Dobbiamo un po’ mediare, devo cercare di vedere il loro comportamento non come un invadere il mio spazio, perché lo fanno perché lo fanno sempre, con tutti. Successivamente in realtà hanno capito che la nostra relazione era seria e rispettabile e hanno fatto un passo indietro; alcuni sono addirittura venuti a chiedermi scusa, a dirmi che non avevano capito la situazione.

Questa è una delle difficoltà, ma ci sono state anche delle difficoltà tra me e lui all’inizio, prima di raggiungere questo mondo “ideale” ci abbiamo impiegato del tempo, ci sono stati un sacco di scontri e di litigi, sul modo di vedere la vita, su come progettarne le tappe. Tre anni fa, quando ci siamo conosciuti, lui era appena arrivato in Italia; il fatto di conoscersi e far nascere una relazione, ha creato in lui tutta una serie di aspettative che poi sono crollate quando ha ricevuto tutti i dinieghi, negli anni successivi. In quel momento lui già progettava la nostra vita insieme: per un africano la famiglia è fondamentale, progettava già di sposarci, di avere un bambino, quasi subito. Avere un discendente per un africano è fondamentale. Io non condividevo queste idee, vorrei fare altre esperienze, con calma. Lui ci ha messo un po’ per capire queste remore nei confronti dei suoi progetti, io cercavo anche di spiegargli che c’era altro a cui pensare prima, non aveva nemmeno i documenti.

Abbiamo dovuto discutere molto prima di trovare i nostri punti in comune.

Come siete riusciti a superare queste difficoltà e a trovare un punto in comune?

Abbiamo fatto entrambi un passo indietro per andare avanti insieme. Io ho fatto un passo indietro sul mio essere donna italiana atea: questo per un africano è un problema, sarebbe molto meglio essere cristiani. Lui ha fatto un passo indietro sul fatto di essere uomo, africano, primogenito e musulmano.

Abbiamo stabilito dei limiti invalicabili, così che nessuno dei due prevalesse sull’altro; ad esempio io non divento una donna africana; e lui mi ha detto che non pretenderà che io abbracci la sua fede, anche perché io la fede non ce l’ho e non sarà la nostra unione a farmi cambiare idea. Al tempo stesso in futuro, se dovessimo avere un figlio, non avrò problemi a farlo avvicinare alla sua religione, come anche tutto il discorso della circoncisione, non c’è nessun problema.

In sostanza ognuno mantiene la vita che aveva in precedenza.

Dimmi di più, cosa intendi con “sarebbe stato meglio essere cristiana”?

I suoi genitori sono persone anziane, analfabete, non sono mai usciti dalla città in cui abitano e quindi è assurdo per loro pensare che tu possa non credere in Dio. Essere cristiana non sarebbe un grosso problema, ma lo è mettere in discussione l’esistenza di Dio. Alieu infatti mi dice “quando incontreremo la mia famiglia non esplicitare il fatto che non credi in Dio, perché per loro è impossibile, è semplicemente impossibile”.

Io e Alieu prima ne parlavamo molto di più, però non si riusciva ad arrivare ad una conclusione: io ero convinta delle mie idee, lui era convinto delle sue. Era strano anche per lui, come è strano anche per tutti gli altri ospiti con cui lavoro, per loro è inconcepibile. Invece ora io e Alieu siamo consapevoli delle nostre credenze e quindi ognuno va per la sua strada.

Io comunque sono molto interessata alle religioni in generale, non solo all’Islam, quindi molto spesso parliamo di religione, di usanze, di credenze; per esempio lui ha avuto un fratello paraplegico che è deceduto, e questo in Gambia crea dicerie sul malocchio. A me questo incuriosisce molto, mi affascina, anche se non sono credente.

Hai avuto contatti con la sua famiglia in modo diretto?

Alieu è primogenito, ha un fratello di 20 anni e due sorelle più piccole con cui purtroppo non ho mai parlato; ho parlato con suo fratello, inizialmente solo per conoscenza, poi in realtà ci è stato molto utile per una serie di documenti e pratiche burocratiche che stiamo facendo per fargli ottenere un documento qui in Italia.

In realtà non hanno il telefono e non c’è il wifi, quindi il fratello per parlare con noi deve andare sempre in un internet point; nel 2016 mi ricordo che suo papà era con suo fratello nell’internet point e quindi c’è stato uno scambio di battute, anche se l’inglese del padre è molto povero, quindi ci siamo solamente presentati, ed è stato l’unico scambio di battute fino ad oggi.

Alieu non ha esplicitato ai suoi genitori il fatto di aver costruito una relazione con me in Italia, perché molto probabilmente inizierebbero a chiedergli dei soldi, perché nella loro mentalità questo significa che Alieu è sistemato, ha una casa, ha un lavoro e una moglie.

Temiamo che questo posa fare nascere delle richieste che per il momento non possiamo permetterci, vogliamo evitare che si crei un rapporto un po’ malato, di dipendenza, quindi aspetterà il più possibile prima di parlare della nostra relazione. Loro sanno che io sono qui, che conosco Alieu e che stiamo insieme, ma non sanno assolutamente che abbiamo intenzione di sposarci in futuro.

Hanno delle aspettative particolari riguardo la vostra relazione?

Che io sappia no, non penso che si aspettino troppo, anzi secondo me Alieu si fa troppi problemi. Però conosce meglio lui la realtà del suo Paese, infatti mi spiega che per loro avere un figlio in Europa significa molto, al punto che la gente del villaggio ritiene la famiglia fortunata, priva di problemi “tanto tu hai un figlio in Europa…” Se in più il figlio è sposato con una donna europea, la famiglia viene emarginata ancora di più.

Ci sono delle opinioni riguardo la vostra unione?

Molte persone mi hanno detto che non è sempre positivo che un africano sposi un’italiana, proprio perché è italiana: lo stile di vita europeo non sempre viene condiviso da un anziano genitore africano, però secondo me i genitori di Alieu non sono così, tant’è che non mi ha mai detto “no, i miei genitori non accetterebbero”. Per il momento è solo una questione economica, ha paura che inizino a chiedere sempre di più.

Suo fratello invece sa più dettagli della nostra unione. Nel tempo lui è cambiato: 4 anni fa, quando Alieu è arrivato in Italia, lui ne aveva 16, quindi era un ragazzino; avere un fratello in Europa anche nella sua mente significava avere un fratello sistemato, era una fantasia e infatti chiedeva soldi. Aveva un’idea dell’Europa che non corrisponde alla realtà, le persone che rimangono là non conoscono le difficoltà di vita che ci sono qua, tant’è che suo fratello fino all’anno scorso voleva venire in Europa; Alieu ha cercato in tutti i modi di fargli cambiare idea, perché lui stesso prima di partire credeva che qui avrebbe cambiato vita, partire era un sogno per lui, invece sono 4 anni che è in Europa, senza alcuna stabilità, senza dignità, una vita orribile. Suo fratello però non gli credeva, pensava che non volesse dividere la sua fortuna con lui. Poi non so cos’è successo in Gambia, dev’esserci stato il rimpatrio di un ragazzo che ha raccontato la realtà dei fatti, detto da un africano deve aver avuto un certo impatto; per fortuna suo fratello ha cambiato idea e da un anno e mezzo a questa parte ha deciso di investire sul suo futuro in Gambia, ha iniziato a lavorare con il padre, che ha un piccolo negozio, in realtà sono baracchini che vendono cose per strada. Ha cambiato proprio la mentalità, al punto che quando ha saputo che stavamo iniziando le pratiche per sposarci ha messo in guardia Alieu, dicendogli di non sposarsi solo per i soldi, di farlo solo se era davvero convinto; è stato anche il primo a consigliarci di non raccontarlo ai suoi genitori per evitare che chiedessero soldi.

Come si è evoluto nel tempo il vostro rapporto?

Il nostro rapporto è strano, perché per la maggior parte del tempo non siamo stati insieme. Nel 2015, quando ci siamo conosciuti, Alieu era qua in Italia, siamo stati insieme fino a maggio 2016. Poi è partito per andare in Germania perché gli era stata negata la richiesta d’asilo: a quel tempo io non avevo la possibilità di potergli offrire una casa e un lavoro, quindi non poteva rimanere qui ed è partito. È tornato a settembre di quell’anno, è stato qua un mese ma non siamo riusciti a trovare una soluzione, quindi è ripartito, è stato via per tutto il 2017 ed è tornato a marzo 2018. In tutti questi mesi in cui era assente io andavo a trovarlo nei vari Stati in cui era: è andato in Svizzera, poi in Germania, in Olanda, poi è tornato in Germania… Il grande problema è stato quando era via, non faceva nulla tutto il giorno, non parlava con nessuno in tutto il giorno. Il peggio è stato nella seconda metà del 2017, quando si trovava in un centro in Germania pessimo, più un carcere che un centro di accoglienza. Al contrario, per me era un periodo molto intenso, lavoravo e mi stavo anche laureando; ero molto stanca e non avevo molte energie da dedicare a lui, che invece non poteva fare nulla.

In ogni caso, andare a trovarlo ogni tanto non è come stare insieme. C’è la frustrazione dell’essere lontani, sentirsi solo via Skype. Nonostante siamo insieme dal 2015, la nostra vera vita insieme è iniziata a marzo 2018, abbiamo appena iniziato.

Al momento la sua situazione non è delle migliori perché non lavora, ha uno stile di vita diverso dal mio: io tutti i giorni vado al lavoro, lui invece tutti i giorni si alza e cerca qualche lavoretto, poi torna e ci vediamo la sera. Io sono sempre impegnata, faccio mille cose, quindi sono un po’ in difficoltà quando mi devo organizzare; lui in questo mi aiuta perché invece è molto organizzato mentalmente, mi crea anche il planning settimanale e mi ricorda gli appuntamenti.

Abitate insieme ora?

A volte. Lui abita con un altro ragazzo gambiano, hanno trovato una casa in affitto da un senegalese che per ora gli fa pagare un prezzo irrisorio; io invece abito da sola, quindi molto spesso lui viene da me.

L’anno scorso, quando ancora non vivevo da sola, è venuto ad abitare a casa mia con i miei genitori. Non è stata l’idea migliore, ma in quel periodo non aveva un posto dove andare, quindi è stato a casa mia per un mese. Non ne sono stata molto felice, non lo sarei stata neanche con una persona italiana, perché rischiano di modificarsi gli equilibri familiari, infatti non abbiamo più optato per questa soluzione.

Per ora quindi non abitiamo insieme in maniera fissa, e non è nei nostri programmi, prima lui deve diventare indipendente dal punto di vista economico a tutti gli effetti. Anche per questo motivo non ci siamo ancora sposati: vorremmo che lui raggiungesse una sua indipendenza economica, altrimenti rischiamo che diventi ancora più dipendente e non sarebbe sostenibile.

State aspettando che lui diventi indipendente?

Si, aspettiamo un documento un po’ più affidabile e duraturo diciamo. Lui ancora è un richiedente asilo, quindi sta ancora aspettando l’asilo, anche se purtroppo ci sono poche possibilità. Siamo seguiti da un avvocato che sta cercando di regolarizzarlo tramite un permesso per lavoro, in modo che Alieu abbia un permesso di soggiorno suo, è importante per il nostro equilibrio di coppia. Non vogliamo sposarci solo per i documenti, vorremmo partire da una situazione di parità.

È stato un mese a casa tua, quindi ha conosciuto i tuoi genitori…

Sì sì. Loro sapevano già di questa relazione, inizialmente è stato molto difficile farlo accettare, per la situazione di vulnerabilità in cui lui si trovava: all’inizio viveva in un centro di accoglienza, poi non più, ha iniziato a girare per l’Europa. I miei genitori all’inizio hanno avuto molta paura. Nemmeno adesso sono molto tranquilli però hanno conosciuto lui e hanno capito che persona è; da quando l’hanno conosciuto meglio, ci hanno aiutato a trovare una soluzione alla sua situazione che non implicasse necessariamente il matrimonio.

Anche Alieu mi ha sempre detto “Se c’è un qualche modo di ottenere i documenti senza un tuo coinvolgimento, sarebbe la soluzione perfetta”. Innanzitutto vorremmo evitare voci e pregiudizi sulla nostra relazione, del tipo “ah vi siete sposati per dargli i documenti” e poi perché lui ha il diritto di avere un documento suo, senza che ci sia Alessandra che lo sposi.

Senti già adesso il peso dei pregiudizi?

Si. Non sono precisamente pregiudizi nei miei confronti o nei suoi, ma basati sul fatto che ci sia un matrimonio con una persona senza documenti, penso che sia una cosa abbastanza normale. Anche io ci ho pensato tanto, mi sono chiesta “perché lo sto facendo? Perché mi sto mettendo in una situazione che magari mi creerà dei problemi?”. Lo stesso vale per tutti i miei amici e conoscenti, la prima cosa che hanno pensato è stata che ci saremmo sposati perché lui me l’aveva chiesto, così da ottenere i documenti. Io potrò negare all’infinito, però rimarrà sempre quel seme di dubbio.

Da parte della famiglia di lui in Gambia, so che sarei percepita come la donna salvatrice del mondo, però non mi va, perché io non devo salvare nessuno, soprattutto Alieu non deve essere salvato! Desidero davvero che ci percepiscano come una coppia normale, che sta insieme, che si sposa forse in futuro, ma perché c’è un sentimento, non per convenienza o per interesse.

Non sono una persona che ha sempre desiderato il matrimonio, anche perché io non sono cristiana, non credo nel matrimonio come rito religioso e non ho nessun interesse a legarmi a un uomo in maniera definitiva attraverso un atto civile in comune. Però sono arrivata alla conclusione che per noi il matrimonio non sia il fine, ma un mezzo per arrivare a qualcos’altro. Lo so, per chi crede nel matrimonio sembrerà bruttissimo, so che alcune persone probabilmente ci giudicheranno in maniera negativa, ma non mi interessa, se questa sarà l’unica soluzione alla nostra situazione, faremo questo.

Per arrivare a questa conclusione ho impiegato del tempo, perché io ho sempre pensato di non volermi unire a una persona per sempre, ha mandato in crisi, me stessa, Alessandra con le sue idee e la sua identità. Fa sempre parte della negoziazione che caratterizza la nostra relazione, anche questo è un piccolo passo indietro che ho dovuto fare per proseguire la nostra storia.

In ogni caso dev’esserci un limite, anche Alieu mi dice sempre che quando sono coinvolta nelle situazioni faccio troppi passi indietro dalla mia parte, e non è giusto. Io devo rimanere io. Anche su questo abbiamo lavorato tanto, perché io ho una bassa autostima che rischia di farmi annullare per accontentare l’altro, perché sono troppo coinvolta in una situazione, mi succede anche a livello lavorativo. Per esempio io risponderei sempre al telefono del lavoro, invece ora mi sforzo di lasciarlo a casa durante i weekend. Alieu mi aiuta, mi dà delle regole che prima non avevo.

Cosa ami di lui adesso?

Io penso che nessuna persona mi conosca come mi conosce Alieu, io invece non sono così brava ad analizzare le persone. Ha avuto modo in questi anni, non so se consciamente o inconsciamente, di studiarmi nei miei angoli più nascosti e quindi io non posso nascondere niente perché lui mi scopre subito, è impressionante, succedeva anche quando ci trovavamo in due Stati differenti.

Questo mi piace perché mi permette di essere totalmente me stessa, mi fa sentire accettata per quello che sono.

Quali sono i momenti più belli della vostra storia?

I momenti più belli in assoluto, idilliaci, sono stati quando sono andata io a trovarlo nei vari Stati in cui si trovava. Io amo viaggiare, soprattutto da sola, i viaggi più belli della mia vita li ho fatti da sola, alla scoperta. Mi ricordo che ero contentissima di andare a trovarlo ogni volta in una città diversa e pensavo “Anche se siamo in una situazione difficilissima, stiamo girando il mondo”; abbiamo visto la Svizzera, la Germania, l’Olanda, poi la Germania di nuovo. Nonostante tutto nel nostro piccolo ci organizzavamo la giornata, proprio come dei turisti. Però questa non è la realtà quotidiana, era solo una settimana. Questi sono i momenti più belli.

Poi mi ricorderò sempre la sua prima volta al cinema, non ci era mai stato e l’ho portato all’IMAX, oppure la prima volta che siamo usciti a mangiare una pizza… I momenti più belli sono le prime esperienze del mondo europeo, perché vivo un’esperienza che per me è normale in un’altra prospettiva.

Cosa amate fare insieme?

In futuro sicuramente viaggiare, nel senso lui non ha mai viaggiato come un turista vero, all’europea. Non so se potremo farlo nel futuro, però se potremo lo faremo, perché ci piace.

A me piace moltissimo quando Alieu mi racconta la sua vita quotidiana in Africa. Purtroppo sono solo voci perché lui non ha foto, non c’è nulla su internet che possa andare a vedere, però parliamo per ore di una singola situazione; avendo già visitato un paese simile, ovvero il Senegal, mi vengono in mente molte situazioni e quindi riesco ad immedesimarmi, anche perché lui è bravissimo a raccontare.

E poi c’è un’altra cosa… ho un grande progetto: scrivere la sua storia. In questi ultimi mesi lui è tornato in Italia e io ho iniziato a scrivere degli spezzoni delle sue testimonianze, i ricordi del suo viaggio, da quando è partito, lasciando casa sua, a quando è arrivato in Sicilia. Il mio sogno sarebbe di scrivere un libro sulla sua esperienza. E quindi abbiamo queste sessioni di raccolta delle memorie, in cui lui parla di tutte le persone con cui ha avuto a che fare, le descrive nei dettagli e… Sono come dei personaggi di un libro. Non so se riusciremo mai a realizzarlo, se si presenteranno le occasioni o le risorse, ma intanto ci proviamo e poi è un tema molto attuale. Sarebbe importante per dare voce a tutti questi ragazzi che partono, senza una meta, come abbagliati.

Se tornassi indietro lo rifaresti?

Si, è faticoso, cioè è stato faticoso, però sì. Se tornassi indietro adotterei dei trucchi che ho scoperto negli anni lavorando con i richiedenti asilo, per fargli ottenere il documento prima; all’epoca invece avevo appena iniziato a lavorare, non sapevo niente dei richiedenti asilo. Però si, assolutamente, lo rifarei.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI