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Preti sposati? I sacerdoti bergamaschi: “Il celibato è un valore, non un tabù”

Abbiamo chiesto a diversi preti bergamaschi un parere in merito alla proposta emersa dal Sinodo speciale dei vescovi sull'Amazzonia

Il celibato è uno dei valori più importanti, ma non è un tabù: se si rendesse necessaria, l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati non ci sarebbero difficoltà. Al tempo stesso non bisogna cadere nel rischio di ritenere che sia la soluzione di altri problemi come la carenza di vocazioni o la pedofilia. Si possono sintetizzare così le posizioni di molti preti bergamaschi in merito alla proposta emersa dal Sinodo speciale dei vescovi sull’Amazzonia.

Più precisamente, i vescovi hanno chiesto al papa “di stabilire criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”. Si attende la decisione di Papa Francesco che si pronuncerà con l’esortazione apostolica post-sinodale, documento che potrebbe essere pubblicato nei prossimi mesi.

Nelle ultime settimane si è dibattuto sul tema, che è tornato al centro dell’attenzione con la pubblicazione del libro del cardinale Robert Sarah, “Des profondeurs de nos coeurs” (“Dal profondo del nostro cuore”), in cui il celibato viene definito indispensabile. Il papa emerito Ratzinger, che inizialmente figurava come co-autore, ha tolto la sua firma chiedendo che comparisse con la dizione “con la collaborazione di Benedetto XVI”.

In questi giorni se ne sta parlando molto, ma è necessario approfondire meglio l’argomento. Don Fausto Resmini commenta: “Ritengo che il celibato, che per noi è uno dei valori più importanti, sia quell’esperienza sacerdotale che ci dà la possibilità di vivere il nostro ministero a tempo pieno ma soprattutto legato al vangelo e alla tradizione della chiesa, che è la strada maestra. Una tradizione con la “t” maiuscola, una scelta forte che ha dato slancio a un nuovo ministero sacerdotale, è una radice profonda, non un tabù e se ne può parlare a ragion veduta. La situazione dell’Amazzonia è particolare: è un’emergenza per l’impossibilità di portare il Vangelo su tutto il territorio. È importante, invece, che raggiunga tutti, che l’amministrazione dei sacramenti sia portata alle comunità più disperse e, in assenza di sacerdoti, non vedo quale sia il problema se venissero ordinati uomini sposati che vivano il loro status in modo retto. Mi sembra totalmente naturale: l’obiettivo è portare il messaggio del vangelo, la celebrazione dell’eucarestia e la pratica della carità perchè sono tre elementi strettamente uniti e in questo contesto spirituale il prete è il punto di riferimento per la comunità. Da noi questa problematica nel raggiungere tutto il territorio oggi non c’è, ma per me non sarebbe un problema se nel futuro in Europa ci fosse la stessa necessità che in questo momento c’è in America Latina e la chiesa dovesse riunirsi per decidere. Sul papa emerito, i mass media hanno sottolineato la diversità tra lui e Papa Francesco, ma non esiste: spesso si sottolineano situazioni che di fatto nella chiesa non ci sono”.

Anche don Massimo Maffioletti invita a sviluppare una riflessione ampia: “Il tema è molto delicato. Penso che il celibato sia una ricchezza per la chiesa e lo manterrei, però potrebbe anche darsi che la chiesa se la senta di dire che non è necessariamente da prevedere come ‘conditio sine qua non’ per tutti coloro che vogliono fare i preti: cosa sappiamo di quello che succederà in Europa nel futuro?”.

Specificando che “si può discutere del celibato, che non è un tabù”, don Maffioletti invita a concentrarsi su altri temi profondi: “Si parla del celibato, del sacerdozio per le donne o delle presunte contrapposizioni tra i due papi, ma dovremmo interrogarci su quale sarà il futuro del cristianesimo, che non significa quanta gente va a messa ma quanto il vangelo viene vissuto dalle persone. Abbiamo a che fare con delle economie che mettono in ginocchio i poveri, la cultura dello scarto, i nuovi materialismi che sono le derive consumistiche nelle quali siamo tutti immersi, la giustizia, la pace e il creato. Ci concentriamo su quelle cose perchè ci paiono le risposte alla crisi del cristianesimo occidentale o mondiale, ma la chiesa ha una storia di 2mila anni, quindi persino la questione del celibato è recente e non è una delle mie priorità: non possiamo prevedere le soluzioni di domani, in ogni caso non ci sarebbe da stracciarsi le vesti”.

Guardando al passato, nella storia della chiesa c’è un solo precedente: nel 1800 a Bergamo, nelle alte valli, furono consacrati 150 sagrestani in dieci anni, i cosiddetti preti pifferi, dal nome del primo che venne ordinato. Alcuni di loro potevano solo celebrare la messa, poi iniziando una formazione potevano fare le catechesi, predicare e confessare. Era un sacerdozio a step. A differenza dei viri probati (uomini sposati di età matura), però, dovevano essere vedovi o non sposati. Questo esperimento bergamasco durò dieci anni e si concluse a metà dell’Ottocento. Volgendo lo sguardo al presente e al futuro, bisogna prestare attenzione a non commettere errori di valutazione, come spiega monsignor Giulio Della Vite: “Il rischio è di vedere l’ordinazione degli uomini sposati come soluzione di altri problemi quali il numero dei preti o la pedofilia. Il celibato non ne è la causa: rappresenta un valore, altrimenti il discorso non regge: se ricorrendo a preti sposati molti corressero a fare i sacerdoti mi porrei delle domande sulla loro vocazione. Bisogna considerare che la chiesa dell’Amazzonia ha necessità diverse da quella italiana e di altri Paesi: il minimo comun denominatore è vasto e non è automatico che le soluzioni individuate per un luogo rispondano ai bisogni di un altro. I problemi sono complessi ed entrambi i papi ne sono consapevoli. Ognuno adotta punti di vista differenti: uno ha rimarcato il valore, l’altro ha notato che ci sono problemi ma il disegno è unitario. Mi piace l’immagine della chiesa con un cuore solo e i due papi rappresentano i movimenti delle sistole e diastole”.

Infine, monsignor Attilio Bianchi, rettore dell’Abbazia vescovile di Sant’Egidio a Fontanella, afferma: “Il celibato è un dono per la chiesa ma questo non vuol dire che ci siano preti sposati accanto a quelli che decidono di rimanere celibi”. A corredo, in una riflessione che ha pubblicato sul sito Santegidiofontanella.it, nella rubrica DaQui, scrive: “Un giorno il papa Paolo VI disse, scandalizzando gli ipocriti, che il fumo di satana era entrato nella Chiesa. Eppure erano tempi ancora molto coperti: in barba a tutto, si viveva del preconcilio a Concilio ormai consegnato. Un fumus persecutionis che tocca il papa attuale in modo sconosciuto ai secoli che precedono. Eretico, idolatra: due accuse che sbiancherebbero chiunque nella Chiesa di Cristo, tanto più chi è stato chiamato ad essere presidente della carità ecclesiale, e dunque dell’unità e della difesa della verità. Ma tant’è: viviamo in un’epoca che minaccia di consegnare alla storia non chi ha tracciato un cammino, ma chi si sbatte per chiudere orizzonti. E qui – spiace dirlo a me che ne ho sempre avuto stima anche in tempi in cui lui stesso era vittima di disistima (ma non di persecuzione come ora per il suo successore – l’assist di Benedetto già papa a un cardinale conservatore rimette fiato ai persecutori. È in uscita un libro che si occupa del no ai preti sposi: e già le anticipazioni titolano con un ”non posso tacere”. Che è brutto; e dunque si spera che sia il solito modo di certa stampa di sollecitare gli istinti primitivi, la stampa che ama la guerra. Perché non tacere? Non era forse il primo proposito di un papa che ha lasciato, e che, seppure con espressioni diverse, affermava l’esatto contrario: ora devo tacere? Che certi argomenti li titilli un cardinale di curia è ormai diventata una tale moda che può invitare solo al “guarda e passa”. Ma che l’Emerito intervenga, più che ai diritti d’autore del porporato, dà un assist a tutti quei gruppuscoli che stanno macinando rancori e divisioni all’interno della Chiesa. Chi sono? Lefebvriani occulti messisi nell’onda di autodemolizione della chiesa di Roma; lugubri scontenti per una carriera mancata (loro, si pensavano in un’azienda e non nel vangelo del Nazareno); fanatici dell’ombra chiesastica, con riti che odorano di muffa, e non del profumo dei gigli di un campo aperto, o del volo libero di uccelli nel cielo che non è mai lo stesso. Non fossimo stati avvertiti da Lui, il Signore, che la persecuzione è criterio di verità evangelica, ci sarebbe di che sprofondare. Ma fa male, ma scandalizza gli indecisi, ma allontana gli uomini che pure cercano con cuore sincero. Un a soluzione ci sarebbe: dalle cinque piaghe di Rosmini ad oggi le piaghe sono aumentate di numero e di consistenza; ma l’inizio di tutto, il tarlo che rosicchia e indebolisce, è in quegli apparati che assimilano la Chiesa a una qualsiasi delle potenze terrene. Il ritorno a Zagarolo (ne ho scritto più volte) è il primo comandamento: annullamento dei fasti e delle onorificenze, la sobria solennità del culto, il decentramento dal vaticano all’autocefalia apostolica delle diocesi, il riordino della teologia secondo priorità che rispondano all’umano che oggi si conosce. E, ad esempio, le categorie di puro e impuro che hanno afflitto quel grande dono che è la sessualità, potrebbe suggerire alle inveterate certezze di un emerito novantenne che ci si dà in totalità al Signore e al suo servizio anche da sposati. Al porporato che l’ha coinvolto non chiedete remissione: c’è una durezza di cervice insormontabile”.

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