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Unione Europea: la storia

Ue e non solo 8

L’ingresso dei Paesi ex Urss e la psicologia dei popoli

Oggi, alcuni di questi Paesi interpretano l’Europa come qualcosa di assai diverso dall’organismo socio-economico immaginato a Bruxelles

Nel processo di unificazione europea, sono state trascurate molte variabili: dal fattore identitario a quello distributivo. Tuttavia, la mia impressione è che l’elemento di cui, colpevolmente, si sia
tenuto meno conto sia stato quello umano: la psicologia dei popoli, il loro sentimento nei confronti dell’Europa.

È un errore culturale molto comune: la formazione scientista e relativista della maggior parte dei fondatori dell’Unione ha fatto sì che il fattore spirituale o, se si preferisce, antropologico, dei popoli europei venisse un tantino trascurato, rispetto a scelte di carattere più tecnico o economico.

L’ho già scritto in queste noterelle, ma è il caso di ripeterlo e di rimarcarlo, qualora si debba parlare degli stati dell’ex impero sovietico, entrati a far parte dell’UE in un secondo tempo: quei popoli sono letteralmente affamati di identità, di tradizione e, purtroppo, di orgoglio nazionale, dopo che sono stati asserviti a una dittatura internazionale per mezzo secolo.

Di questa reazione naturale si sarebbe dovuto tener conto: invece così non è stato. Il risultato è che, oggi, alcuni di questi paesi interpretano l’Europa come qualcosa di assai diverso dall’organismo socio-economico immaginato a Bruxelles: per cominciare, hanno un atteggiamento assai ostile verso qualunque idea di immigrazione extraeuropea e, poi, non sono disposti ad accettare supinamente la politica monetaria dell’eurozona. Insomma, vorrebbero stare nell’UE, ma alle loro condizioni: percepiscono certi vincoli comunitari come degli ukaze, né più né meno di quanto avveniva ai tempi del COMECON.

Non si tratta di scienza economica, lo ripeto, ma di sentimento delle cose. E questo, in un momento delicato per la sopravvivenza stessa dell’Unione, date le tendenze centrifughe manifestate da molti membri, dopo la Brexit britannica, è pericoloso e se ne dovrebbe tenere maggior conto.

A partire dal cosiddetto “Gruppo di Visegrad”, ovvero l’accordo tra quattro paesi, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, siglato nel 1991 nel paesino a nord di Budapest, per delineare una strategia comune, in vista dell’adesione all’UE, ma, poi, trasformatosi in una coalizione di resistenza interna, rispetto alle politiche comunitarie, soprattutto in materia di immigrazione e economia. Fateci caso: si tratta dei “paesi cuscinetto” di Versailles, nati dalla frammentazione dell’impero asburgico.

La storia ritorna e, a volte, si vendica: Versailles, la piccola Intesa, eccetera eccetera. Questi popoli si sentono legati da una comune origine e hanno subito le stesse vessazioni: oggi, di quell’occidente che li ha usati per un secolo, nei propri giochini di politica internazionale, non si fidano fino in fondo. E, forse, non hanno tutti i torti. D’altronde, anche l’Austria, la Slovenia e la Croazia cominciano a mostrare un certo interesse per le posizioni di Visegrad.

Fatto sta che, da quelle parti, l’Europa è vista con un occhio diverso: noi ce l’immaginiamo costruita su di un asse ovest-est, loro la vedono, piuttosto, delineata da un asse nord-sud. Proprio in quest’ottica si colloca il “Trimarium”, progetto a dodici per migliorare lo scambio e l’approvvigionamento energetico tra i paesi dei tre mari, Adriatico, Baltico e Mar Nero: va da sé che non si tratti di un elemento di resistenza all’UE, come potrebbe essere Visegrad, ma di un’iniziativa che, inevitabilmente, sposterebbe verso sud-est gli equilibri continentali e strizzerebbe palesemente l’occhio alla Russia, vero convitato di pietra dell’Unione.

In definitiva, quindi, per restare nell’ambito del nostro breve percorso, l’ingresso nell’UE dei paesi ex sovietici ha rappresentato un notevole elemento di discontinuità, rispetto agli equilibri tradizionali dell’Unione: l’Italia, con la sua collocazione geografica e la sua debolissima politica estera, dovrà barcamenarsi tra queste due anime continentali e, forse, prima o poi, scegliere quale adottare. Ma le conclusioni sulla storia dell’Europa comunitaria lasciamole all’ultimo capitolo della nostra saga…

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