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L'intervista

De Rien, poesia e alchimia di musica e parola

Marco Pesenti, anima degli Ottocento, e Flavio Fucili pubblicano nel 2019 “Canzoni profane e d’amor”, una poesia pop che racconta l’alchimia tra prole e musica.

Un sogno lasciato nel cassetto per trent’anni. Sono questi i De Rien, duo bergamasco, che è finalmente uscito allo scoperto. E non l’hanno fatto né prima, né dopo il previsto. Sono arrivati al momento giusto. Marco Pesenti, anima degli Ottocento, e Flavio Fucili pubblicano nel 2019 “Canzoni profane e d’amor”, una poesia pop che racconta l’alchimia tra prole e musica.

de rien

Come e perché sono nati i De Rien?
M
: I De Rien sono un fenomeno carsico. Io e Flavio abbiamo iniziato a scrivere canzoni insieme nei Left Over, circa 30 anni fa. Erano brani visionari tra la psichedelica, il beat, il prog, il teatro e la poesia. Nel tempo, sotto la spinta della curiosità per il mondo e per i suoi ”fenomenali abitanti”, abbiamo scritto pagine di pensieri. Parole e rime fermate al telefono oppure segnate nelle pause ai semafori, perfino tracciate sulla sabbia durante le passeggiate al mare, insomma, un continuo accumulo quasi compulsivo di sentimenti ed idee. L’anno scorso ci siamo finalmente detti “basta”, lasciamole suonare! Un anno di fatica a fine giornata ma ecco che il progetto si è realizzato.

“Canzoni profane e d’amor” è il vostro primo album. Cosa volete comunicare?
F
: Sono otto canzoni che esprimono il nostro modo di vivere e pensare ciò che incontriamo, perciò non hanno rispetto di come oggi una canzone va scritta se vuole vendere.
M: “Che cosa vogliamo comunicare?” è una frase che io e Flavio ci siamo scambiati più volte.
F: La risposta è stata fin da subito ”essere autentici”. Questo è un un percorso che ci coinvolge totalmente.
M: Decifrarsi è una bella esperienza, capire se stessi, chi si ha accanto e creare una sintesi comune. Ecco qui. Cerchiamo il piacere di scrivere canzoni, di suonarle, di farle ascoltare a chi vorrà.

Profumo di suggestioni cantautorali percorre il vostro album. Avete avuto punti di riferimento nel vostro lavoro?
F: Quello che semmai cercavamo era soprattutto di non essere prigionieri del pensiero e delle musiche di altri, tanti grandi maestri che ci portiamo dentro. Un segno del nostro entusiasmo per i gesti senza ricerca di conseguenze, approvazione, distaccato dall’ingraziarsi l’ascolto o una pretesa intellettuale. Per dirla come Gaber e Luporini, ci siamo regalati il lusso di ”buttare lì qualcosa e andare via”.
M: Quest’album è stato un atto di coraggio verso la bellezza ma anche verso il dolore. È ciò che raccontiamo.

“La ragazza col cane” ha anticipato l’uscita dell’album. Chi è la donna di cui cantate?
M: Una ragazza capace di non farsi imbruttire dagli imbonitori, dai mercanti di voti. Una ragazza che va per la sua strada e cerca di essere quello che è.
F: È una ragazza comune che pur senza punti di riferimento si lascia guidare dal cuore, dal suo lato migliore. Che è protetta dal destino e da un fedele amico capace di ululare alla luna, o ad un lampione.

“Un astronauta per strada” è un titolo che incuriosisce. Come nasce questa canzone?
F: Una nostra rivisitazione del concetto forza di gravità: l’universo non ha confini e pure gli esseri umani con le loro domande non scherzano… i buoni propositi, le malinconie, sono tutte argomentazioni che ogni tanto si amplificano lasciandoti sospeso o rinchiuso in uno spazio.
M: lì possiamo sognare quando vogliamo, non costa nulla se non il lasciar perdere le personali lamentazioni. Allora si apre lo spazio per creare, per gustare il mondo, magari per condividere qualcosa di umano.

Di cosa parla “De pe a pa”?
È un brano che affronta il tema dell anostalgia vista da varie sfaccettature, che si tratti di un amore o che si tratti delle proprie radici. Tutto è nato durante una conversazione con un amico argentino, la nostra attenzione, oltre che sulla consueta nostalgia di casa, pure intesa in senso metaforico, si è fermata su una piacevole scoperta. Scrivendola, oltre che a suggestioni musicali tipiche del Sud America, ci siamo interessati al lunfardo un insieme di verbi, sostantivi e aggettivi che caratterizzano il gergo delle città del Rio de la Plata. Questo linguaggio popolare è stato generato dalla mescolanza di lingue e dialetti provenienti dagli immigrati che nel XIX secolo si trasferirono nei quartieri più poveri di Buenos Aires. Spesso era usato dalla malavita per non permettere alla polizia di capire messaggi o stati d’animo o loschi affari. È un gergo duro, spesso violento ma anche ironico e scaltro.
Ad oggi viene aggiornato in modo contemporaneo dagli adolescenti…

“Un’altra occasione” è l’ultima traccia. Voi l’avete mai avuta?
M.
Sì, ogni volta che ce ne siamo dati occasione. Come la fortuna, la puoi trovare solo se la vai a cercare. In mezzo c’è lo smarrimento, il dolore, a volte duro, profondo.
F: Esatto… L ‘amore si appoggia spesso su di una serie di malintesi. Molteplici volte cercandolo s’ incorre in errore ma ”un ‘altra occasione” è l’altro lato della stessa moneta. Che sia un’opportunità nuova od una ripartenza di un discorso interrotto.
M: Ognuno di noi può cambiare: oggi più che mai vuol dire permettersi fino in fondo di essere quel che si è. In fondo parliamo sempre d’amore.

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