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La lanterna magica di guido

“Tolo Tolo”: il ritorno col botto di Checco Zalone

Questa volta l’arma della leggerezza per raccontare una storia è stata usata in modo improprio, andando a rovinare un film che, in un momento delicato come il nostro, doveva fare di più.

Si sa, quando Checco Zalone torna lo fa sempre in grande stile. Se non mi credete vi basti pensare che nel solo 1º di gennaio, data d’esordio del film, la casa di produzione ha incassato circa 8,6 milioni di euro, rendendo così “Tolo Tolo” il lungometraggio con il maggior incasso di sempre nella storia del cinema italiano nelle prime 24 ore di programmazione.

E indovinate un po’ qual era il film che deteneva il record prima di lui? Esatto, era proprio “Quo vado?”, penultima fatica in ordine cronologico del comico barese. Insomma, che lo si voglia o meno, Checco muove l’Italia, ma questa volta, la 5ª in 10 anni, è stato diverso.

Sarò sincero, chi vi scrive non è un fan di Zalone: non apprezzo quel tipo di umorismo, non mi piace il carattere caricaturale di cui i suoi personaggi sono ammantati, spesso trovo le sue battute scontate e sono fermamente convinto che il 90% della sua comicità sarebbe già suonata vecchia 30 anni fa, ma qualcosa, incredibile a dirsi, riesco ad apprezzarla anch’io. Un po’ come per Fantozzi o, parlando di opere odierne, per Claudio Bisio, ciò che è corretto lodare dei film di Zalone è il tentativo di approfondire temi d’importanza sociale e culturale come l’omosessualità o l’immigrazione, senza limitarsi alla semplice battuta sul “ricchione”, come lo definisce lui stesso, o sul colore della pelle di un africano, come in una sorta di grande romanzo di formazione.

La sinossi di questi film è più o meno sempre la stessa e la morale della storia è sempre incarnata dalla figura di Checco che, da italiano medio, carico di pregiudizi e figlio di una mentalità chiusa e retrograda che era all’inizio del racconto, diviene aperto al diverso e più rispettoso del prossimo, passando per vie più o meno arzigogolate.

Anche questa volta l’archetipo si ripete: non compreso dalla madre patria, Checco, giovane imprenditore fallito e indebitato col fisco, trova accoglienza in Africa dove, mentre lavora come cameriere in un resort, sogna di iniziare un’attività in quel luogo, sfruttando il vuoto legislativo locale sulle norme di sicurezza sul lavoro che tanto gli erano costate nelle sue precedenti attività.

Ma una guerra lo costringerà a far ritorno a casa percorrendo la tortuosa rotta dei migranti, dandogli così la possibilità di scoprire cosa significa davvero essere un clandestino.

Se però il messaggio è nobile, la realizzazione non lo è altrettanto. Il film infatti troppo spesso va ad impelagarsi in battute e sketch banali, triti e ritriti che, sebbene vogliano veicolare un qualcosa di nobile, si perdono nella solita imitazione di Mussolini, nello scontata battuta sulla politica italiana e, più di tutto, sul sempreverde “ci pagano le pensioni”, andando così a far perdere credibilità ad un film che poteva e doveva essere più di così.

Non pensiate però che “Tolo Tolo” sia un film del tutto superficiale, in un’ora e mezza ci sono momenti profondi che fanno riferimento a temi come i campi di prigionia libici e ai cosiddetti “porti sicuri”, che sicuri non sono, del nord Africa, ma questo non basta a salvare un film che, nella pretesa di essere per tutti, ha reso banale un qualcosa che banale non è.

Questa volta l’arma della leggerezza per raccontare una storia è stata usata in modo improprio, andando a rovinare un film che, in un momento delicato come il nostro, doveva fare di più.

Consigliato? Se ciò che si cerca è un film comico senza pretese di 90 minuti “Tolo Tolo” è senz’altro ciò che fa per voi, se invece steste cercando qualcosa di un po’ più impegnato cambiate aria, probabilmente ne sarete delusi.

Battuta migliore: “Ah ti chiami Dudù… come il cane di Berlusconi”

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