Con questo articolo Bergamonews apre una nuova sezione che ripercorre la storia dell’Europa e dell’Unione Europea per comprendere il presente e il futuro del nostro continente. Ad accompagnarci in questo percorso è lo storico Marco Cimmino.
Di Europe, nel corso della storia, ce ne sono state molte: il concetto di Europa, almeno fino alla nascita dei grandi stati nazionali, è sempre stato piuttosto spirituale che fisico. Certamente, l’Europa romana fu un mondo globalizzato e coeso, amministrativamente, economicamente e, per molti versi culturalmente: tuttavia, essa risentiva dell’idea universale che fu Roma.
L’Europa cristiana, da questo profilo, ebbe molti più punti in comune con l’immagine moderna del vecchio continente: il cristianesimo fu, per così dire, il collante delle popolazioni europee, che, in fondo, erano un incrocio di popoli latini, germanici, celti e slavi. Questa Europa, naturalmente, soffrì una cesura fortissima nel XVI secolo, con lo scisma protestante.
In tempi moderni, invece, l’idea di Europa divenne sempre più associativa o federale: le interminabili guerre settecentesche perfezionarono la teoria delle grandi alleanze militari e politiche, con l’obbiettivo di impedire che uno Stato divenisse troppo potente. Queste guerre, quelle di successione e quella dei sette anni, paradossalmente, aiutarono la nascita di un’idea pacifista dell’Europa: un accordo permanente tra le grandi potenze continentali, per mantenere in vita un equilibro tanto traballante quanto minaccioso. Va da sé che l’Età napoleonica scombussolò un po’ tutto: le armate francesi, se, da un lato, portarono in giro per l’Europa le idee della rivoluzione, dall’altra furono la rappresentazione tangibile del suo fallimento e della sua trasformazione in tirannia.
Una conseguenza, tra le altre, dell’imperialismo napoleonico fu la prepotente rinascita di fortissimi nazionalismi, in chiave antifrancese: l’idea di Europa unita si allontanò un pochino e, nel XIX secolo, prevalsero nettamente le tensioni scioviniste e centripete. Fu la prima guerra mondiale, con la sua inimmaginabile ecatombe, che aprì la strada ad una nuova ondata di europeismo: il vecchio continente, dissanguato ed esausto, desiderava la pace, duratura, solida, garantita dai trattati. Dalle sale sfarzose di Versailles uscirono tanti buoni propositi, sulla traccia delle tesi dell’americano Wilson, ma uscirono anche le premesse per una nuova e più vasta catastrofe: il cieco accanimento francese contro la Germania sconfitta gettò le basi di un revanscismo astioso, che avrebbe spalancato la strada a Hitler.
Insomma, l’Europa tra le due guerre era combattuta tra uno spirito federalista e un tantino utopico e una realtà di piccole guerre civili, di conflitti politici latenti e di razzismi che covavano sotto la cenere. Il fallimento della wilsoniana Società delle Nazioni fece il resto: a partire dalla metà degli anni Trenta, a nessuno, tranne forse ai visionari estensori della carta di Ventotene, sembrò più praticabile un progetto di unità europea. D’altronde, Spinelli, Rossi e gli altri intellettuali europeisti che, alla fine del 1941, elaborarono il celebre documento “…per un’Europa libera e unita”, erano davvero troppo teorici e nessuno li prese molto sul serio: soprattutto in quel momento, con gli aerei giapponesi che attaccavano Pearl Harbor, ma anche in seguito.
Il documento di Ventotene, elaborato da Spinelli e Rossi, che erano al confino nell’isola laziale, prefigurava già un’Europa con un proprio parlamento ed un proprio governo, ed era, come vedremo, decisamente futuristico, rispetto alla realtà politica ed economica del continente. La visione della Carta di Ventotene, in definitiva, era troppo filosofica, troppo utopistica, a metà strada com’era tra la morale kantiana e un federalismo di stampo americano, mutuato dalle teorie del settecentesco Hamilton.
Terminata l’immane strage della seconda guerra mondiale, e con un mondo che, piano piano, si risollevava, leccandosi le ferite, tornò prepotentemente a galla l’idea di un’unità europea, sia pure soltanto in chiave filoamericana, atlantista e antisovietica. Di fatto, tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, nacquero due Europe: esattamente come era avvenuto al tempo di Lutero, vi fu uno scisma continentale, questa volta politico e non più tra nord e sud, ma tra est e ovest. Il primo germe dell’Unione Europea si manifestò in maniera del tutto bipolare, di qua e di là della Cortina di Ferro: il seguito è storia contemporanea, e ne parleremo dalla prossima puntata.
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