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Il discorso

Benemerenze, il grazie di Gori: “Bergamaschi si può diventare, ma non si smette mai di esserlo”

Le parole del sindaco durante la cerimonia: "Non è sufficiente avere talento o una buona idea, si è 'bergamaschi' nei fatti anche quando si è in grado di affrontare le difficoltà, i dubbi e i momenti di delusione, andando oltre. Ognuno dei premiati, a modo suo, l’ha fatto"

Grande emozione al Teatro Sociale di Bergamo, in Città Alta, dove il sindaco Giorgio Gori ha consegnato le benemerenze civiche “come gesto di gratitudine da parte dell’amministrazione comunale”. Tra i premiati ci sono il compianto avvocato ed ex primo cittadino Roberto Bruni, il professore Franco Locatelli, i due soccorritori che hanno aiutato Stefano Mecca e le figlie dopo il tragico schianto aereo del 21 settembre, ma anche l’ex procuratore Walter Mapelli e il capitano dell’Atalanta Alejandro ‘Papu’ Gomez. Ecco il discorso del sindaco durante la cerimonia:

“Buonasera a tutti, benvenuti.

Ci ritroviamo questa sera per conferire i più importanti riconoscimenti della città ad alcune persone speciali, che riteniamo meritino la nostra gratitudine. Le benemerenze, e ancor più le medaglie d’oro, sono grandi “grazie” che l’amministrazione – ritenendo di interpretare i sentimenti della comunità – rivolge a quei cittadini che nella loro vita – con un gesto o un’attività, attraverso un progetto o un impegno protratto nel corso degli anni, singolarmente o insieme ad altri – hanno dato lustro a Bergamo.

Alcuni di loro sono nati qui, altri hanno incontrato la nostra città ad un certo punto del loro percorso, ma ugualmente l’hanno adottata e ne sono stati adottati; altri ancora sono stati condotti lontano dalla vita, ma non hanno mai smesso di sentirsi bergamaschi e di farsi riconoscere come tali per le loro qualità.

Bergamaschi si può diventare, ma non si smette mai di esserlo.

Soprattutto in questo tempo così confuso, così segnato da cambiamenti velocissimi che mettono in discussione i nostri punti di riferimento, così…incerto, riconoscersi come parte di una comunità, – di una storia, di una tradizione, di una serie di valori – rappresenta, mi sembra, una bussola di grandissima importanza.

Quando iniziai a lavorare in televisione, tanti anni fa, a Milano, mi ritrovai di colpo proiettato in un mondo rutilante, scintillante e cosmopolita. Lavoravo con persone che arrivavano da tutte le parti d’Italia, e con molti colleghi stranieri. Sulla scrivania, rivolta verso chi entrava nel mio ufficio, collocai allora un cartello, che serviva a mettere le cose in chiaro. C’era scritto bello grande “BERGAMASCO”. Quell’aggettivo diceva chi ero io e al tempo stesso mi faceva sentire protetto. Non mi sarei perso in quel mondo così frenetico perché sapevo esattamente chi ero. Potevo affrontare il mare aperto.

E così penso possa essere oggi per molti di noi. Nel tempo della globalizzazione, della rivoluzione digitale e della trasformazione del lavoro, della grande emergenza ambientale e delle migrazioni, ritrovarsi intorno ai valori di una comunità è esattamente ciò che ci permette di sentirci più saldi, meno vittime dell’incertezza, e quindi più disponibili e aperti verso gli altri.

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L’ho già detto ma lo ripeto: non è un fatto di nascita. Bergamaschi si diventa se si fa proprio il genius di questa città, di questo territorio. L’operosità, il coraggio, la disponibilità al sacrificio, la generosità, la concretezza; e una solida radice di cultura cristiana – mi sento di aggiungere – anche se tradotta in forme assolutamente laiche, quindi aperta alla condivisione di ogni persona, aldilà del suo credo, e nonostante la forte secolarizzazione che caratterizza anche i nostri tempi. C’è, si percepisce e tuttora opera nel profondo.

Poi ognuno colora questi tratti col suo temperamento. C’è un benemerito di stasera che arriva da lontano e che agli ingredienti tipici della “bergamaschità” ha aggiunto un tocco di mirabile fantasia che è tipico dei luoghi da cui proviene, per esempio. E tanti altri ne conosciamo che sono nati altrove e oggi si sentono, e sono, più bergamaschi di noi.

C’è chi legge l’identità come principio di chiusura, ma mi sento di dire che sbaglia. Al contrario: se sai chi sei non hai paura del mare aperto. Se sai chi sei apprezzi le differenze e vai con più sicurezza incontro agli altri. Capisci anzi che le differenze sono il sale della vita, il principio dell’incontro e il motore dello sviluppo di un territorio.

Facendo il sindaco ho imparato che il globale e il locale devono stare insieme. L’uno serve a bilanciare l’altro. Se c’è solo il globale ci si perde, se c’è solo il locale ci si chiude. Noi siamo invece contenti di essere locali…ma aperti all’Europa e al mondo.

Se sai chi sei ti senti anche meno solo, proprio perché è un “noi” quello che si riflette in quei valori. C’è un legame. La cerimonia delle benemerenze è importante perché consente di porre in evidenza, attraverso la vita e l’operato delle donne e degli uomini che ci apprestiamo a premiare, i valori che tengono insieme la nostra comunità.

Tenere insieme, rafforzare i legami, rendere più fitte e feconde le relazioni. A me pare che questo possa essere un modo per cercare di contrastare la solitudine. E che debba pertanto essere coltivato con ogni mezzo. Nella nostra città si contano 27mila famiglie costituite da una sola persona. Diecimila sono le persone anziane che vivono sole. La società costruita sull’architettura di nuclei familiari numerosi, coesi e stabili – riguardo alla loro resilienza ma anche dal punto di vista fisico, della loro stanzialità – è un ricordo del passato. Frammentazione è la parola che descrive la situazione che abbiamo sotto gli occhi.

E allora, a maggior ragione, abbiamo bisogno di legàmi e di rafforzare i fattori di coesione tra le persone.

E’ l’idea che nei prossimi anni ci porterà a lavorare a fondo sulla dimensione dei quartieri, sul decentramento dei servizi e sul coinvolgimento degli stessi cittadini nella dimensione della condivisione e della cura. Ne parleremo in altre occasioni.

Questa sera fermiamoci qui, a ribadire il valore straordinario di persone che non si sono limitate a condividere quei valori, ma li hanno messi in pratica. Che sono stati capaci di sacrificarsi, di superare ostacoli, di rialzarsi quando anche a loro – come a tutti – è capitato di inciampare e cadere. Non è sufficiente avere talento, o avere una buona idea. Si è “bergamaschi” – nei fatti, se non anche di origine o di residenza – quando si è in grado di affrontare le difficoltà, i dubbi e i momenti di delusione, e di andare oltre. Ognuna delle persone che premiamo stasera a suo modo l’ha fatto, inseguendo il proprio sogno o il proprio progetto, ed è per questo che le ammiriamo e le ringraziamo.

Grazie dunque, e moltissimi auguri, non solo ai benemeriti. Siamo ormai alla Vigilia e credo non ci sia occasione migliore per rivolgere i più sentiti auguri a voi, alle vostre famiglie, e tutti i cittadini di Bergamo. Auguri di cuore per un Natale sereno e per il nuovo anno che ci aspetta”.

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