Si è svolto sabato nella sala del Mutuo soccorso a Bergamo il convegno in memoria del cinquantenario della strage di piazza Fontana. Per questa volta le varie associazioni culturali di Bergamo sono riuscite a organizzare con successo l’iniziativa, che ha visto la vasta partecipazione di un pubblico estremamente attento.
Con il coordinamento di Donatella Esposti si sono alternati ad esporre i diversi aspetti della vicenda sei interventi programmati: Claudio Merati per il Mutuo soccorso, Carlo Salvioni per il Comitato antifascista, Luciana Bramati per l’Isrec, Carlo Simoncini per Libertà e Giustizia, Roberto Bertoli, per l’Anpi della città di Bergamo e Gian Gabriele Vertova per il Centro La porta.
leggi anche
Ricordando il contesto storico in cui si colloca la strage del 1969, si sono toccati i temi delle radici e dell’attualità dell’impegno antifascista e democratico, dei rischi di rigurgiti di nuovi fenomeni di fascismo, o comunque di involuzione autoritaria, con raccordi tra il passato, il presente e gli scenari futuri; in particolare come all’epoca il nuovo fascismo fosse un fenomeno piuttosto “elitario” e come invece ora si presenti con maggiore diffusione a livello di massa, attraverso una sottocultura che unisce razzismo, antisemitismo e toni di generica violenza, anche solo verbale.
Si è evidenziata l’importanza che i giovani conoscano le vicende del passato (pare che in sondaggi nelle scuole medie superiori, la strage venisse attribuita da molti studenti alle Brigate rosse) e abbiano presente il basilare riferimento alla Costituzione repubblicana, purtroppo ancora troppo trascurata nelle nostre scuole.
Si è ricordato come il contesto storico fosse quello in cui l’Italia si trovava vincolata alla Nato anche da protocolli segreti, risalenti all’immediato dopoguerra, ma venuti alla luce solo in epoca successiva, nei quali era previsto l’impegno ad impedire una ascesa al potere del partito comunista, anche con metodi illegali. Cosa che ha poi consentito l’attività clandestina dei servizi segreti americani e italiani, che ha portato a quella che è stata chiamata strategia della tensione, allo scopo di destabilizzare il Paese e sollecitare una svolta autoritaria. Svolta che sembra sia stata sventata solo all’ultimo momento.
Dal processo questo ruolo dei servizi segreti è emerso con sicurezza, tanto che sono stati condannati per depistaggio delle indagini il generale del Sid, Gian Adelio Maletti, e il suo collaboratore capitano Labruna. Così come è emerso il ruolo dell’informatore Guido Giannettini, condannato all’ergastolo per strage con la sentenza di primo grado e poi assolto per insufficienza di prove. Ma su questo ruolo di Giannettini – e quindi del Sid – il governo Rumor aveva opposto il segreto di Stato alla richiesta di informazioni della magistratura. Quindi, quando si parla di “strage di Stato”, non si è lontani dal vero, considerando che furono proprio i massimi livelli istituzionali a coprire le responsabilità dei servizi segreti, pur di fronte ad un evento tanto grave come una strage che aveva provocato 17 morti innocenti.
Il processo si conclude dopo ben 36 anni con la sentenza della Corte di cassazione del maggio 2005, che conferma l’assoluzione di tutti gli imputati (tranne gli ufficiali del Sid), ma certifica con la sacralità di una sentenza emessa in nome del popolo italiano che la strage “non ha rappresentato una ‘scheggia impazzita’, ma il frutto di un coordinato acme operativo iscritto in un programma eversivo ben sedimentato, ancorché di oscura genesi, contorni e dimensioni”. Certifica altresì, con la stessa sacralità, che gli autori della strage furono Franco Freda e Giovanni Ventura, per conto dell’organizzazione fascista di “Ordine nuovo”, non più processabili perché già assolti con sentenza definitiva per lo stesso fatto.
Si è parlato anche del processo per la morte di Pino Pinelli e della sentenza del giudice D’Ambrosio che lo ha concluso con la nota ipotesi di un malore “attivo”, che avrebbe provocato la caduta, protrattasi oltre la ringhiera della finestra. È stata considerata anche la figura del commissario Calabresi, non eroe, ma vittima di una violenza orrenda e ingiustificabile sotto ogni profilo, ma non per questo esente da responsabilità per la morte di Pinelli, trattenuto illegalmente senza informare la magistratura e ben oltre i termini del fermo di polizia. Il giudice ritiene che Calabresi non fosse nella sua stanza al momento della fuoriuscita di Pinelli dalla finestra. Ma giunge a questa conclusione sulla sola base delle testimonianze degli agenti di polizia presenti nell’ufficio, peraltro da lui stesso considerati inattendibili, laddove, ad una voce sola, avevano dichiarato che Pinelli, con balzo ferino, si era lanciato dalla finestra gridando “È la fine dell’anarchia!” Lo stesso giudice ritiene invece inattendibile la versione del teste Valitutti, che seduto nella stanza dei fermati aveva potuto vedere che la porta dell’ufficio del commissario Calabresi non si era mai aperta in quel frangente e nessuno ne era uscito.
L’incontro è stato accompagnato da letture di testi attinenti l’evento, tra cui la poesia di Pier Paolo Pasolini “Io so”, da parte di Diego Bonifaccio, dalla proiezione di immagini predisposte da Attilio e Giovanni Pizzigoni, da brani musicali, tra cui la storica “Ballata del Pinelli”.
commenta