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La riflessione

Dio dà i numeri

Monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia vescovile di Bergamo ci accompagna in questa seconda domenica di avvento con una riflessione sulla solennità dell'Immacolata concezione.

In occasione della solennità dell’Immacolata, pubblichiamo un testo di monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia Vescovile – Diocesi di Bergamo. 

Se ti dicessero che un tale si è fatto gatto, si è gattificato, per amore del suo micio – con cui non ha nulla in comune – diresti: “Ma questo dà i numeri!”.

È ciò che stiamo dicendo di Dio in Avvento e in modo particolare nella festa dell’Immacolata: per amore si è fatto uomo (il Signore mi perdoni questa forzatura per provocare riflessioni).

“Dare i numeri” significa dire o fare cose senza senso: l’origine del detto viene dall’estrazione dei numeri della tombola (o del lotto) che non segue alcuna sequenza logica. Noi siamo appiattiti sui numeri, sui calcoli, sui bilanci e dobbiamo “fare i conti” con l’altro come concorrente. Entrate e uscite. Dare e avere. Quanto mi costa? Quanto mi devi? Crediti e debiti. Ricchezza e ruolo. Tu e io. Uno e uno, due. Ma è tutto qui?

C’è un’altra dimensione. Abbiamo bisogno di recuperare il tre: la nostra tridimensionalità.

Proviamo a raffigurarcelo disegnandolo geometricamente: due punti separati da una linea piatta (A-B) si possono riunire solo in un terzo punto situato più in alto (C). Nasce un triangolo. Per questo il 3 è considerato il numero sacro: unisce in alto. Una visione a tutto tondo della vita si ottiene solo inserendo la dimensione dell’oltre. Questo è il “point of difference” di Dio. Per gli antichi era la tridimensionalità delle 3 virtù teologali: fede (l’altezza), speranza (la profondità), amore/carità (la base).

Ci possono però essere modi diversi di considerare l’oltre.

C’è innanzitutto colui che è al 100% scelta di fede indiscutibile, colui che fa del suo credo una roccia inespugnabile: è l’ateo. Sì, l’ateo! Colui che crede di non credere. Dire “io credo che Dio non esiste” è una scelta radicale di fede. Infatti, diceva James Joyce, “uscire a cena con gli atei è noioso, si parla solo di Dio”.

C’è chi non si implica e preferisce il “non so”: è l’agnostico, termine dal greco “a-gnosko” che significa “non conoscere”.

L’ateo crede nel NO, il fedele nel SÌ. L’agnostico crede nel BO, ma spesso col rischio di essere talebanamente intollerante verso chi mette in discussione il suo (BO-)dogma. C’è poi chi si mette in gioco a metà: è il credente non praticante o – per specularità – il praticante non credente, cioè il messaiolo della domenica ma indifferente in settimana. Infine c’è l’assoluto d’io (attenzione all’apostrofo!!!), fedelissimo “di io”. La divinità è l’ego… tutto il resto è noia!

Quale è allora la tridimensionalità dell’oltre (propria dell’Immacolata)?
È fare proprie le tre virtù di Dio (per questo dette “teologali”): fidarsi (fede), confidarsi (speranza), affidarsi (amore).

Dio è amore e quindi dà i numeri esattamente come chi ama. La tridimensionalità dell’oltre è la dinamica di ogni coppia: non è “trovare” la persona giusta, ma “essere” la persona giusta, fidandosi, confidandosi, affidandosi… giorno per giorno.

Non avrai mai la certezza. Conosci bene tutti i punti deboli. C’è però un oltre che ti dice che lui/lei è il meglio per te. Tanto che due disastri possono formare un capolavoro.

“Dare i numeri” però può avere anche un altro significato, quello di aprire un dialogo per diventare presenza quotidiana: “Mi dai il tuo numero? Così ci possiamo sentire e vedere!”. Dare il proprio numero di cellulare è qualcosa di personale, è dare la combinazione per aprire la porta della propria vita. È permettere all’altro di raggiungerti sempre e ovunque.

Se un VIP ti dicesse “ti do il mio numero privato” lo considereresti un dono speciale, un onore, un privilegio. Dio fa così con noi… e neanche gli diciamo grazie.

In questa solennità dell’Immacolata Dio dà il suo numero di cellulare a Maria, apre un legame: con lei e come lei entriamo personalmente in contatto con Dio,
direttamente con lui, senza filtri o segretari più o meno angelici. Maria fa un passo ulteriore e trova il 4, trova nuovi punti cardinali, coordinate di vita: fortezza, giustizia, prudenza, temperanza. Sono quelle che gli antichi chiamavano le 4 virtù cardinali.

Quattro è simbolo di concretezza (simboleggiata dal quadrato) e di vita reale (gli elementi della natura: aria, acqua, terra, fuoco). Maria prende in mano la sua vita: “Come avverrà questo?”. Virtù, poi, deriva dal latino “vir”, forza e capacità per una vita bella: “Rallegrati, piena di grazia!” le dice l’angelo.

La prudenza, è la sua prima qualità: è prevedere e provvedere. Non è tutela della smorta routine, ma acume che intuisce il bene, e intelligenza emotiva che unisce testa e cuore, vision e mission. La prudenza spesso è rappresentata come una donna dai tre volti: giovane, adulta, anziana. Come Maria, ragazzina di Nazareth, madre coraggiosa, prima testimone della risurrezione.

Memoria del passato, gusto del presente, speranza del futuro, aprono in Maria e in noi la seconda dimensione: la giustizia. È una virtù relazionale che chiede l’uscita dal narcisismo e la scelta della riconoscenza dei doni e dei valori degli altri, facendo sgorgare una responsabilità di comunione.
Canta: “L’anima mia esulta perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva: ha disperso i superbi, ha rovesciato i prepotenti”.

Questo non è facile. Chiude il Vangelo “l’angelo si allontanò”. Maria resta sola e diventa per noi maestra di fortezza: “per aspera ad astra”, attraverso le difficoltà si arriva alle stelle, ripetendosi ogni giorno quella parola creatrice: “non temere!”.

La prudenza, la giustizia, la fortezza riguardano la relazione dell’uomo con gli altri e con Dio; resta infine la temperanza che riguarda la relazione dell’uomo con se stesso.

Maria è la piena di grazia perché gravida di Dio.
Questo sgonfia ogni eccesso nella considerazione di noi stessi nell’assurgere a unità di misura, nell’avvelenarsi la vita per gelosie e invidie, alimentando affanno, ansia, frustrazione. La sobrietà della temperanza propria di chi è gravido di Dio è sana leggerezza sia nelle prove che nelle soddisfazioni,
è senso del pudore, giusta riservatezza, delicata eleganza, uso equilibrato della parola, gusto del Q.B. quanto basta.

Quel bambino di Betlemme, il primo hashtag della storia #Dio-con-noi, è in realtà uno specchio in cui scoprire la nostra tridimensionalità per trovare nuove coordinate attraverso cui gustare la vita.

E se qualcuno ti dice “tu dai i numeri! tu non sei normale!”, tira un respiro di sollievo e rispondi: “E menomale!”.

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