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Italia

Le contraddizioni del Bel Paese: eterno e così fragile

L’Italia è stata al centro delle riflessioni dei letterati del Novecento. Se da una parte si trova il caotico ordine di Carlo Emilio Gadda, perfettamente impresso sulle pagine di Accoppiamenti Giudiziosi, dall’altra troviamo l’ordine antico, di cui erano intrise anche le pellicole cinematografiche di Pier Paolo Pasolini e, infine, la fantasiosa bellezza di Italo Calvino.

Venerdì 29 novembre Domenico Piccolo ha presentato il suo libro “Nei silenzi delle parole” presso la biblioteca di Verdello Monsignor Luigi Chiodi.
In questa presentazione innovativa la lettura delle poesie è stata accompagnata da riflessioni e fotografie.

È stato interessante il pensiero sul Bel Paese descritto come eterno e fragile allo stesso tempo, immortale, corrotto e rovinato, ma allo stesso tempo così mozzafiato.

In queste quattro mura circondate dal mare ci sono terre che hanno visto sorgere l’Impero Romano, hanno assistito alle lotte papali, alle crociate. Un piccolo agglomerato di montagne, laghi e pianure, è un museo a cielo aperto dell’arte rinascimentale e della grandezza dei Medici e degli Sforza. Le terre tremarono quando Mussolini il 10 giugno 1940 si sporse da Palazzo Venezia per annunciare agli italiani l’inizio della guerra e, sempre questi brandelli di prati, sospirarono all’arrivo degli americani il 25 aprile 1945.

Lo stivale è stato l’incubatrice delle più belle opere della letteratura che ancora oggi vengono amate e custodite con cura tra le librerie di tutti. Dante parlò dell’Italia, osannando la sua Firenze, nella commedia più letta tra i banchi degli istituti italiani.
Manzoni, con una visione dal basso, mischiandosi tra la gente comune che vive lontana dai lussi, racconta una Milano lacerata, fatta a brandelli dalla corruzione e dall’epidemia; una Milano di stenti, di difetti, ma sempre di cuore.

Generico dicembre 2019

L’Italia è stata al centro delle riflessioni dei letterati del Novecento.
Se da una parte si trova il caotico ordine di Carlo Emilio Gadda, perfettamente impresso sulle pagine di Accoppiamenti Giudiziosi, dall’altra troviamo l’ordine antico, di cui erano intrise anche le pellicole cinematografiche di Pier Paolo Pasolini e, infine, la fantasiosa bellezza di Italo Calvino.

In un programma televisivo andato in onda in RAI il 7 febbraio 1974, Pier Paolo Pasolini spiegò come Orte, città laziale, fosse nel tempo passata da un piccolo agglomerato di case ad una città vera e propria con costruzioni moderne.
In quegli anni si stava facendo strada il Movimento Moderno nato dalle ideologie architettoniche di “Le Corbusier”, ma che Pasolini non condivideva. Il regista ammirava le costruzioni fasciste: statiche, ordinate, senza fronzoli inutili. Furono proprio queste dichiarazioni decise ed estremiste a scatenare l’ira di Italo Calvino che dichiarò “la sua critica al presente che si volta al passato non porta a niente”.

Quindi, l’Italia nel Novecento non è stata solo la scenografia di poetici film o di libri che resteranno per sempre nel cuore e nella mente degli italiani. Gli scrittori si sono battuti affinché ora il Bel Paese fosse al passo con le nuove forme architettoniche.

Oggi vediamo paesi distrutti da terremoti, terre inquinate per volontà di qualche uomo d’onore, i ponti caduti, le dighe frantumate, la neve sommergere gli alberghi; eppure l’Italia è bella così, anche se zoppica.
L’Italia che si ama è quella delle urla e delle grida, delle fiaccolate, delle indignazioni, della paura, dei gesti esagerati mentre si parla.
L’Italia delle guerre di quartiere, dell’arte in tutte le sue forme, della storia, dell’amore, di chi non si arrende.
L’Italia che si canta è quella di Mina e Celentano, di De Andrè, di Lucio Dalla, di Battisti, Mia Martini e di De Gregori e Reitano.

È proprio con una frase di Reitano che è doveroso finire questa riflessione:
“Quest’Italia che profuma di oleandri e di perché,
Anche quando si è un po’ stanchi
Non ci si arrende per un se.
Italia, Italia di terra bella uguale non ce n’è.
Italia, Italia questa canzone io la canto a te”.

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