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Arte

La mostra

Stefano Locatelli, l’unico scultore di una dinastia di artisti

Un’arte fedele al vero e insieme inquieta. Anche se in campo scultoreo non fu un innovatore, fu artefice di finissima plasticità, mai compiaciuto di un “bello” ideale ma attento a cogliere nei dettagli vibranti e nell’eloquenza dell’insieme il trasmutare emotivo e le situazioni interiori del soggetto rappresentato

Una mostra riuscita come poche quella allestita fino al 26 novembre alla Ex Chiesa della Maddalena e dedicata allo scultore Stefano Locatelli. Una mostra che rispetta il contenitore storico e che sfrutta al meglio il dialogo suggestivo tra lo splendido ambiente trecentesco e le opere dell’artista.

Si tratta della prima antologica dedicata a quello che fu l’unico scultore di una dinastia di artisti arrivata fino a noi dal XIX secolo: da Giuseppe Locatelli detto Steenì, scomparso nel 1919, discesero infatti la famiglia di Giovanni Battista, padre di Luigi, Ferruccio e Orfeo, e quella di Luigi detto Steenì II, padre di Romualdo, Raffaele e Stefano.

Dopo l’indimenticabile mostra del 2012 in Bergamo dedicata alla bottega dei “Locatelli” e l’importante mostra del 2014 a Roma, i riflettori sui Locatelli si sono riaccesi lo scorso settembre con la presentazione della monografia curata da Vittorio Sgarbi (uscita per Skira) sul più irrequieto della famiglia di artisti, Romualdo Locatelli.

L’attuale esposizione dedicata a Stefano Locatelli, a cura di Marcella Cattaneo e delle nipoti dell’artista Irina e Maria Luisa Marieni Saredo, ricostruisce il percorso bioartistico di un grande talento, cresciuto nell’esercizio quotidiano del disegno e della pittura grazie al fratello Romualdo e nella pratica del modellato grazie a Gianni Remuzzi, presso la cui bottega Stefano imparò giovanissimo a impastare la terra, a costruire armature e a sbozzare le sue prime sculture.

Per merito della famiglia dell’artista e dell’Associazione culturale Il Ramo Maestro oggi si onora così, a trent’anni dalla morte e a quasi cento dalla nascita, la memoria di una personalità operosa, schiva, dedita al “fare artistico” come etica di vita. “Metti ogni tua sofferenza e gioia al servizio della tua arte che ti sia sempre viva in ogni attimo presente come un secondo respiro”, annotava lo scultore che viveva come una missione quasi “mistica” la ricerca e la disciplina creativa.

Oltre 100 le opere esposte alla Maddalena tra sculture, dipinti, disegni, e un percorso fotografico attraverso gli interventi urbani a Bergamo e sul territorio. Ricchissima di spunti storico-artistici, la rassegna riesce tuttavia a non risultare troppo carica – merito di un allestimento di gusto e di intelligenza spaziale – e restituisce un intenso spaccato del panorama delle arti visive, in particolare dell’arte plastica, nel secondo dopoguerra in Bergamo e, di riflesso, nella più ampia provincia lombarda. La committenza pubblica e privata, le opere sacre e quelle di ispirazione intima o civile, si articolano nei temi prediletti dell’autore scanditi in mostra in otto sezioni: autoritratto, scultura, ritratti, tavolette dipinte en plein air, pose di danza, arte e fede, itinerari e infine “Cara Bergamo” , una raccolta di dieci litografie originali realizzate su lastre di zinco dall’autore che ritraggono gli ambienti della città a lui più cari (Grafica e Arte, 1982).

E se la scultura oggi è la grande assente nelle rassegne importanti, grazie a questo evento l’arte della terza dimensione si riscopre in tutta la sua potenzialità e si capiscono le ragioni della centralità che ha mantenuto nel Novecento. Il linguaggio plastico continua ormai a subire evoluzioni, con le trasmutazioni e le derive degli ultimi cinquant’anni nelle forme di installazioni, ambientazioni, performance e tanto altro. Eppure la scultura in bronzo, in marmo, in gesso, in cera, quando esce da mani di talento e di mestiere, serba un’energia palpitante e insostituita, che sa riportare in superficie emozioni e stati d’animo come poche altre espressioni d’arte.

Sono riflessioni che affiorano a ogni passo attraversando l’allestimento dello studio 6ZERO5 che si avvale del progetto illuminotecnico di Telmotor Spa: la messa a punto degli spazi fa emergere in pieno l’energia dell’arte. Un’arte fedele al vero e insieme inquieta quella di Stefano Locatelli il quale, se anche in campo scultoreo non fu un innovatore, fu tuttavia un artefice di finissima plasticità, mai compiaciuto di un “bello” ideale, ma attento a cogliere nei dettagli vibranti e nell’eloquenza dell’insieme il trasmutare emotivo e le situazioni interiori del soggetto rappresentato.

L’eloquenza antiretorica delle pose e la straordinaria cura di ogni particolare rendono godibile l’osservazione da tutti i punti di vista, che si tratti di sculture a tutto tondo come il delicato San Tarcisio del 1946 nell’abside centrale o il delizioso Arlecchino del 1961, di bassorilievi a stiacciato di fine spessore come nelle formelle e tavolette di materiale vario, o assaggi di pittura su supporti di recupero. Su tutto, restano impresse negli occhi l’ipnotica e intensa sequenza di self-portrait di varia età che ci accoglie all’ingresso e la schiera di teste in gesso, terracotta, bronzo, pietra artificiale, che sbaraglia l’osservatore per la forza che emana dalla presenza quasi fisica delle figure ritratte.

Orari della mostra: lunedì-venerdì 9.30-17.30, sabato e domenica 11-18. Accompagna la mostra il ricco e accurato volume monografico “Stefano Locatelli” con scritti di Marcella Cattaneo, Irina Marieni Saredo, Maria Luisa Marieni Saredo, Monsignor Gianni Carzaniga.

Nel contesto della mostra e a latere l’Associazione il Ramo Maestro promuove una serie di attività gratuite per gruppi, famiglie e per le scuole: visite guidate alla mostra, visita alla gipsoteca Stefano Locatelli + urban sketching in città alta per tutte le età e laboratori – da effettuare tra gennaio e giugno 2020 – presso le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria. Per info e prenotazioni: ilramomaestro@gmail.com

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