Forse, gli eroi non sono tutti giovani e belli, come postula il menestrello di Pavana, ma, per certo, molti eroi sono giovani e, sovente, si tratta di giovani inclini alla rivoluzione.
D’altronde, una rivoluzione è qualcosa che matura nel tempo: sorvola generazioni di scontenti e di arrabbiati, fino a giungere alla generazione giusta, quella che le darà corpo e sostanza.
Difficile comprendere i grandi movimenti rivoluzionari della storia, senza immaginarne i padri, i nonni e perfino i trisavoli, che, a lungo, masticarono amarezze, in attesa dell’epifania.
Vero è pure che, come postulò, invece, Dino Segre, in arte Pitigrilli, spesso si nasce incendiari e si finisce pompieri: tuttavia, è indubbio che, se si pensa ad una rivoluzione, risulta difficile immaginarla nelle mani di qualche vecchio babbione. Più facilmente, essa ha le fattezze del “gamin” con i due pistoloni del celeberrimo quadro di Delacroix.
E c’è del vero: Carlo VII dava tutto per perduto, nel 1428, quando gli comparve davanti Jeanne (Giovanna d’Arco), che aveva appena sedici anni. La pulzella rivoluzionò tutto e il “re senza corona” vinse la guerra contro gli Inglesi.
Ne aveva diciotto, di anni, la covenanter scozzese Margaret Wilson, giustiziata per annegamento nel 1685: nessuno, oggi, ricorda i suoi carnefici, mentre lei è ancora un simbolo di libertà.
Aveva ventun anni Jan Palach e soltanto diciannove Jan Zajic, che si diedero fuoco nel 1969, per protestare contro la repressione sovietica della primavera di Praga: vent’anni dopo, la loro rivoluzione trionfò.
Giovanissimi erano gli studenti del maggio francese e del febbraio russo: gli intellettuali, nei loro studi foderati di libri, meditavano sulla ribellione contro il sistema, mentre i ragazzi sfidavano le fucilate cosacche e i manganelli della Gendarmerie Nationale.
E che dire dell’immagine simbolo che più d’ogni manifestazione pacifista, più d’ogni gesto clamoroso, contribuì a cambiare la sensibilità e a risvegliare la coscienza della gente nei confronti della guerra del Vietnam? La foto fu scattata l’8 giugno 1972 a Trang Bang, a pochi chilometri da Saigon, dopo un bombardamento aereo con bombe al napalm. La bimba che fugge terrorizzata è Kim Phuc, allora aveva nove anni.

Certo, se i giovani ci mettono la fede e l’entusiasmo, la strategia e la tattica spettano agli adulti: a volte, ci si muove in perfetta sincronia e altre, invece, qualcuno muove le fila e qualcuno è marionetta inconsapevole.
Ma questa è la storia: dietro l’esuberanza fiera degli studenti di Pietrogrado o il sacrificio dei Volksturm, ci furono Lenin e Goebbels; e questo non va dimenticato.
Sarebbe, tuttavia, ingiusto ed irriconoscente non ammettere che, senza giovani, le rivoluzioni non si possono fare: una rivolta necessita di un buon grado di irresponsabilità e di verginità culturale, senza le quali, la gente se ne rimane in casa a tentennare il capo.
Diciamo, un po’ pilatescamente, che la storia ci insegna che i grandi cambiamenti si dovettero e, forse, si devono a felici sinergie tra esperienza ed estro, rischio e calcolo: Garibaldi e Cavour fecero la rivoluzione unitaria, senza di loro, oggi, forse, saremmo un popolo diviso. Però, senza i ragazzini scappati di casa per andare a Genova ad arruolarsi, quella rivoluzione si sarebbe, probabilmente arenata a Calatafimi.
Per rimanere alla cronaca, è difficile dire se quella innescata dalla giovanissima Greta Thunberg sia una rivoluzione: la cosa sicura è che, a causa della straordinaria visibilità mediatica della ragazzina, l’ambiente è diventato un argomento da prime pagine.
E questo è, comunque lo si veda, un bene.
Poi, il resto è del tutto opinabile: l’eterodirezione della giovane, l’inconsistenza delle argomentazioni, le modalità delle proteste e la loro efficacia. Sta di fatto che ci troviamo di fronte, una volta di più, a una generazione di giovani che riempie le piazze: e la storia ci insegna che è proprio così che nascono le rivoluzioni.
Lasciamo che i giovani facciano i giovani, dunque e, se necessario, che sbaglino per proprio conto, come, in definitiva, hanno sbagliato tante altre volte: alcune generazioni bofonchiano, altre sperano e altre ancora protestano.
Non scordiamoci che, spesso, per i propri contemporanei, un eroe è soltanto un fesso.
E che responsabili delle rivoluzioni sono quasi sempre le generazioni che le hanno rese inevitabili.
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