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Delitto di curno

Marisa, uccisa a coltellate a 23 anni: chiesto il processo per il marito

Secondo il pm Gaverini, il 36enne tunisino agì con premeditazione e con l’aggravante dei futili motivi

Con i pesanti capi di omicidio, tentato omicidio, porto d’arma atta a offendere, maltrattamento e violenza sessuale, il pubblico ministero Fabrizio Gaverini ha chiesto il rinvio a giudizio per Ezzedine Arjoun, accusato di aver ucciso la moglie Marisa Sartori la sera del 2 febbraio scorso nel garage della palazzina di Curno dove la ragazza era andata a vivere con i genitori, intenzionata a interrompere quella relazione.

Secondo il magistrato il 36enne tunisino, rinchiuso nel carcere di via Gleno, agì con premeditazione e con l’aggravante dei futili motivi, ossia l’intenzione della moglie, 23 anni, di separarsi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’uomo avrebbe atteso per ore l’arrivo della coniuge e della sorella appostato nei sotterranei del condominio di via IV novembre. Era anche sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e in stato di ubriachezza molesta e si era già procurato l’arma del delitto, un coltello da cucina con lama da 13 centimetri.

Con quella lama avrebbe inferto otto lesioni alla moglie, colpita violentemente e ripetutamente al torace, all’addome, al braccio destro e alla gamba sinistra, causandone la morte per anemia metaemorragica acuta fatale. Nella colluttazione era rimasta gravemente ferita anche la sorella Deborha, colpita sotto al seno sinistro e all’addome.

Arjoun dovrà rispondere anche di maltrattamenti, per aver ripetutamente insultato e offeso la moglie durante la convivenza, fino a vere e proprie aggressioni fisiche e minacce anche nei confronti dei familiari.

Uno degli episodi, commesso il 13 ottobre 2018, gli è costato l’imputazione per violenza sessuale nei confronti della coniuge: dopo averle dato appuntamento al parco della Roncola di Treviolo, le aveva tolto le chiavi della moto e sotto la minaccia di un coltellino l’aveva costretta a subire un rapporto.

Il 2 febbraio, dopo l’omicidio e con le mani ancora insanguinate, Ezzedine si era presentato spontaneamente alla caserma dei carabinieri di Ponte San Pietro, confessando il delitto: sottoposto a perizia psichiatrica, è stato dichiarato capace di intendere e volere, ma ha sempre negato la premeditazione dell’omicidio, sostenendo di aver reagito a una frase di Deborha che lo aveva invitato a lasciar stare sua sorella e a dimenticarsi di lei.

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