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Sport in lutto

Gimondi, mito di semplicità e umanità: il più grande campione bergamasco

Professionista esemplare, anche presidente dei tifosi atalantini. Randazzo: "Non si poteva non voler bene a Felice". Merckx, il rivale di sempre: "Stavolta perdo io"

“Cento e più chilometri alle spalle e cento da fare / L’orologio prende il tempo e il tempo batte per noi / Non c’è più chi perde o vince quando il tempo non vuole / Quando la strada sale / Non ti voltare / Sai che ci sarò”.

È il finale, bellissimo e struggente, di “Gimondi e il cannibale“, la canzone che Enrico Ruggeri aveva dedicato a Felice Gimondi.

Se molti sportivi sono rimasti affascinati dal cannibale che vinceva tutto, Eddy Merckx, era però impossibile non fare il tifo per Felice Gimondi. Proprio perché non vinceva sempre, lui, eppure ha vinto tantissimo. E ti conquistava per come correva, per la sua generosità, per la sua semplicità, per la sua faccia sporca di fango quando vinse la Roubaix, per i suoi silenzi: non c’era bisogno di raccogliere chissà quali dichiarazioni, col microfono puntato un po’ minacciosamente appena dopo il traguardo. Bastava la sua espressione per dire tutto, era già un articolo scritto.

Un campione.

E non è fuori luogo ritenerlo il più grande campione bergamasco. Forse solo lui, a dirglielo, ti guarderebbe un po’ male e commenterebbe a modo suo, magari in dialetto, senza giri di parole. Ma era un vero numero uno, nello sport e nella vita.

“Un campione di umanità e per grandezza di uomo”, ricorda Giacomo Randazzo, che ha conosciuto Gimondi anche come grande tifoso dell’Atalanta. Felice è stato presidente del Club Amici e quando poteva andava ‘all’Atalanta’, allo stadio voleva esserci anche lui. “È una notizia straziante per tanti motivi”, continua Randazzo. “Gimondi era un grande come uomo, oltre che come sportivo e come atleta. Non si poteva non voler bene a Felice, per la sua semplicità, per la sua umanità. Era un grande uomo, sono davvero addolorato”.

“L’avevo visto recentemente alla presentazione della tappa del Giro a Lovere” ricorda Paolo Savoldelli, “assieme ad Agostini e mi era sembrato in buona forma. Sono incredulo”, commenta il Falco.

Gimondi era soprattutto… bergamasco.

“Diceva sempre quel che pensava, un po’ ci assomigliavamo”, continua Savoldelli. “Serio ma anche ironico, se aveva una battuta da fare non se la teneva dentro. Cosa mi ha insegnato? C’era grande stima reciproca, era uno di poche… balle (dice letteralmente il Falco, ndr), di cose vere. Una persona umile, semplice, così è stato per tutta la vita”.

“Grande atleta, grande personaggio”, conclude Savoldelli “Gimondi lascia un enorme vuoto, non solo a Bergamo e non solo nel ciclismo, ma in tutto il mondo sportivo”.

Qualche mese fa, il 18 marzo 2019, ricorreva il 45° anniversario della sua vittoria alla Milano-Sanremo. Gimondi è stato l’unico campione bergamasco a saper vincere la classicissima di primavera, lasciando gli avversari a quasi due minuti. Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste… come Mario Ferretti aveva raccontato Fausto Coppi, corre per la Bianchi come il Campionissimo, anche se quell’anno Felice veste la maglia di campione del mondo, che aveva conquistato l’anno prima a Barcellona battendo anche l’imbattibile Eddy Merckx.

E proprio in quella occasione, sul traguardo della Sanremo, Gimondi aveva conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, Tiziana.

“Ho lavorato con un mito”, era stato il commento di un’entusiasta Siria Magri alla fine della fatica televisiva “Girosera”, che nel 1993 ripercorreva alla moviola le tappe del Giro d’Italia, allora trasmesso da Mediaset su Italia1. E a rivisitare la corsa era una coppia tutta bergamasca, la giornalista e il campione. Che pure davanti al microfono se l’era cavata più che bene, grazie alla sua schiettezza.

Gianni Mura, prima firma del ciclismo, aveva promosso la trasmissione: “Utile e ben fatto Giro Sera con Gimondi, che non sarà mai un allegrone, ma quel che ha da dire lo dice”.
In tv come in gara, sempre preparato, ricordava Siria Magri: “Gimondi arrivava molto prima che si andasse in onda, per rivedere tutti i filmati e scegliere i momenti da passare alla moviola. Ho riscoperto la professionalità incredibile del campione. Soprattutto, non è stato mai banale. E i corridori avevano molto rispetto dei suoi giudizi”.

Pane al pane, come quando disse di Pantani: “Siamo nati in epoche diverse, io in un piccolo paese ai piedi della montagna, lui è nato a Cesenatico, dove credo che già prima frequentasse le discoteche, questa è una mia supposizione. Era un ragazzo non facile, un po’ testone, faceva sempre di testa sua. Ma comunque è stato un grande perché mi ha riportato ai miei tempi a livello emotivo: vorrei ricordare Pantani nella tappa di Oropa, quando nonostante un problema tecnico rimontò tutti. Non esultò solo perché non si era reso conto di averli superati tutti. Questo è il Pantani che voglio ricordare”.

Il finale lo lasciamo al Cannibale, Eddy Merckx, il suo rivale di sempre. Emozionatissimo: “Stavolta perdo io. Perdo prima di tutto un amico e poi l’avversario di una vita. Abbiamo gareggiato per anni sulle strade uno contro l’altro, ma siamo diventati amici a fine carriera. Un uomo come Gimondi non nasce tutti i giorni. Che dire, sono distrutto”.

Addio Felice, gran signore e campione gentiluomo.

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