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QUATTRO PARETI DI PAURA

Sto correndo da più di un’ora. Diluvia e io continuo a correre. Corro dentro al diluvio, la pioggia mi sovrasta, mi calpesta. Corro, forse piango, urlo dentro al tuono, cado in mezzo alla strada. Sono stanco di tutto.
Mi chiamo Bryce, ho sedici anni e sono il più popolare della mia scuola.
Ho paura di essere me stesso, ho paura di me stesso. Ho paura di mio padre, un violento insoddisfatto della sua vita. Ho paura di diventare come lui.
Ho paura per mia madre, vittima succube dei problemi di quello che la società vede come mio padre ma che io ritengo come uno scarto umano.
Sto scrivendo su un qualsiasi pezzo di carta per cercare di dare un ordine alla mia vita.
Mi blocco. Sento la porta scricchiolare e aprirsi lentamente e il rumore distinto dei passi lenti e trascinati di mio padre ubriaco. Trascina il suo corpo nel buio del corridoio lievemente rischiarato dalla luce della luna, arriva in salotto dove mia mamma si è addormentata con un libro sulle gambe distese, le urla qualcosa e lei, terrorizzata, si ritrae verso il divano, come a voler scomparire al suo interno e andarsene da questo inferno. Sento che si è fermato. Calma apparente prima della tempesta.
E la tempesta avviene dentro la mia testa. Il buio mi circonda, fuori piove a dirotto, dentro di me pure. Il rumore dei tuoni si mischia alla paura che rimbalza incessantemente nella cassa toracica, sale in gola, mi soffoca, arriva al cervello, mi sento morire. Chiudo gli occhi. Esco dalla mia stanza, esco dalla mia casa, esco da quell’inferno che mi ammazza ogni giorno ed in cui sono superstite per miracolo. Sono libero, ma non so più chi sono, non so più nulla, non sono più nulla.
Devo aiutare mia madre. Devo salvarla da quel mostro che ci divora la libertà. Improvvisamente mi cade addosso il fatto che non so cosa fare, mi rendo conto che non posso fare nulla. Mi fermo, immobile, come i miei pensieri. Riapro gli occhi. Sono ancora nella mia stanza, quattro pareti che vorrei sfondare da sedici anni, ma che ormai sono diventate le mie peggiori nemiche, contro cui ogni sera combatto una battaglia impari e invisibile.
La porta si spalanca all’improvviso, la calma cessa di esistere, la paura mi preme sullo sterno e non mi lascia respirare, l’ansia mi sovrasta, l’inquietudine mi fissa dalla finestra compiacendosi del mio terrore, soffoco. Lo sguardo di mio padre percorre lentamente tutta la stanza, con quella calma apparente che nasconde rabbia profonda. Mi trova, mi uccide. Mio padre inizia a camminare verso la mia direzione, un passo davanti all’altro, guardo i suoi piedi muoversi, fisso la sua ombra proiettata sul muro della mia stanza nella speranza che sia tutto un sogno. Quella stessa speranza che mi autodistrugge ogni secondo di più. Vorrei sparire, scappare da tutto questo come se non l’avessi mai vissuto, come se la mia vita non mi appartenesse. Non so cosa sta per succedere, non so cosa farà mio padre, se avrà pietà di me oppure mi distruggerà definitivamente. So solo che ho paura. Un tuono mi fa sobbalzare, il rumore rimbombante mi soffoca, mio padre si avvicina sempre di più al mio letto, cerco di aggrapparmi a quel poco che mi è rimasto, sprofondo nel buio più assoluto. Il suo sguardo incontra il mio, il battito cardiaco accelera in meno di mezzo secondo, il cuore impazzisce, sbatte contro le costole, segna la fine definitiva, deglutisco a fatica, la saliva è un blocco di cemento armato che mi raschia la gola, il sangue mi si gela nelle vene, il soffitto frana, le pareti collassano verso di me. Cerco disperatamente di chiedere aiuto ma tutto ciò che esce dalla mia bocca sono solo flebili suppliche davanti alla morte certa. Buio totale. Non vedo più nulla. Apro gli occhi di scatto, respiro come se fosse la prima volta dopo troppo tempo, mi guardo intorno spaesato. Era un sogno, solo un gioco della mia mente, solo la mia mente che mi prende in giro. Respiro ancora affannosamente ma sono salvo, l’incubo è finito, posso tornare a vivere. La paura è scomparsa, ha lasciato posto alla calma. L’orologio segna le due e zero otto del mattino. Mi fermo a guardare il soffitto, sento dei passi. La paura ritorna, si attanaglia al torace mozzandomi il respiro. L’incubo è reale.

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