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IL RITORNO DI UN’OMBRA

Ero a letto quando ho sentito il cancello aprirsi. Drizzai le orecchie. Non sentii altri rumori, ma quello sì.
Eppure ero sveglio. Perché gli annunci radiofonici o il canto degli uccelli non li sentivo?
Forse quel rumore era più importante degli altri.
Non riuscivo a rispondere ai miei dubbi, anche se mi sembravano così scontati.
Mi alzai. Le mie gambe tremavano come non mai: chi poteva essere?
Mi misi le pantofole, scesi le scale e dopo soli tre gradini mi fermai poiché sentii una forte brezza gelida paralizzarmi le gambe. Poi proseguii e arrivato alla porta che si affacciava sul cortile la aprii: nessuno. Il cancello era spalancato.
Ad un tratto sentii di nuovo lo stesso brivido che mi pervase la schiena, come una gelida folata di vento. Ma in quella giornata il vento lo si poteva solo immaginare.
Allora tranquillizzato, con l’idea razionale del classico gatto che apriva i cancelli, rientrai in casa chiudendo il cancellino.
Accostai la porta, mi voltai e vidi un angelo: era bellissimo. A quella vista rimasi estasiato.
Quell’essere luminoso era magnifico: aveva delle ali che brillavano come il sole, i suoi dolcissimi lineamenti erano incorniciati da un viso antico, la sua veste lasciava intravedere i piedi.
Subito la mia mente si riempì di domande. Non feci neanche in tempo ad analizzarle che l’angelo mi disse “Seguimi!”: mi prese la mano e iniziammo a salire.
Da quel momento mi sentii più leggero. Voltai la testa e vidi che anche io mi ero sollevato. Però disteso sul pavimento c’era il mio corpo, senza vita.
A quel punto mi svegliai.
Mi alzai e mi misi le pantofole. Non sentii il cancello, come nel sogno, ma, nello scendere in cucina, percepii comunque la folata di vento.
Mi fermai nel bel mezzo delle scale. Tremavo come una foglia. Mi appoggiai al muro cingendomi le mani attorno alla pancia per il freddo. Avevo paura.
A quel punto mi riaffiorarono i suoni della guerra: gli spari, le urla strazianti, l’odore della morte, il freddo della paura e il caldo del sangue che colava dalle mie mani e dal mio costato.
Mi accovacciai terrorizzato e iniziai a piangere.
“John! John!” urlavano i miei compagni mentre cadevano come gocce di pioggia in un temporale d’estate.
Continuarono, quelle voci, per tutto il giorno fino a farmi impazzire.
Era tarda notte e finalmente mi addormentai.
Sentii di nuovo il cancellino sbattere. Ero sveglio da un po’. Gli altri suoni non li avevo sentiti, come se questo fosse più importante degli altri.
Scesi le scale. Al terzo gradino sentii un brivido lungo le gambe. Mi voltai e con la coda dell’occhio vidi un uomo in divisa militare, con gli occhi bendati, che mi puntava un fucile.
Sospirai di paura. Quando, poi, misi a fuoco, vidi che nella stanza da cui avevo intravisto quell’uomo, non c’era nessuno.
Finii le scale e andai alla porta che si affacciava sul giardino: nessuno.
Ad un certo punto venne di nuovo la folata di vento che mi pervase tutta la schiena, ma in quella giornata il vento lo si poteva solo immaginare.
Poi apparve ancora l’essere di luce, mi prese per mano e mi portò via facendomi innalzare da terra. Il mio corpo era sdraiato per terra senza vita.
Aprii gli occhi, per davvero, e andai in cucina. Quel dì non accadde nulla.
A fine giornata mi riaddormentai. Ancora stesso sogno.
Udii l’aprirsi della porta metallica, scesi le scale, al terzo gradino sentii freddo, mi girai e vidi ancora quell’uomo. Questa volta mi parlò. “Buondì! Sei pronto per andare dove il sole nasconde i guai dei suoi bambini?!?” disse con voce da bimbo.
Corsi. Aprii la porta. Davanti al cancello spalancato partiva una striscia di sangue che arrivava fino ai miei piedi. Quando arrivò l’angelo sentii uno sparo. L’essere mi prese subito per mano e con velocità mi portò via dal mio corpo, su cui ora c’era del sangue.
Mi svegliai di soprassalto sudato e pieno di terrore.
Scesi di corsa le scale, sentii di nuovo freddo, ma non lo considerai.
“Buondì, sei tu John White? Dai andiamo dove il sole nasconde i guai dei suoi bambini!” disse di nuovo quella voce da bimbo. Al sentirla scivolai proprio sull’ultimo gradino e carponi a terra mi girai verso l’inizio delle scale. Non vidi nessuno.
Allora mi alzai e andai a medicarmi la ferita al ginocchio, fatta cadendo. Mi stavo disinfettando l’escoriazione quando sentii i rumori di guerra, questa volta molto forti e persistenti.
Gli spari e le urla mi riempivano le orecchie e il terrore mi pervadeva tutto il corpo.
“John! John! Scappa!” mi gridavano “White scappa! Fatti curare!”
Mi ricordo quella battaglia, eravamo nella regione della Loira. Noi inglesi contro i tedeschi. Io ero stato ferito gravemente da un sottotenente biondo, più o meno della stessa altezza dell’uomo col fucile.
Quell’uomo aveva una targhetta sulla divisa marrone che diceva “Roger Hummels, Sottotenente del quinto regime”. Mi puntava il fucile. Non un briciolo di paura, non un briciolo di pietà, nulla lo poteva fermare, solo la morte che non arrivò. Io riuscii a scappare con l’aiuto del soldato Jack Middelton che si sacrificò per me. Da quella fatidica volta non rividi mai più il sottotenente Hummels, ma il suo sguardo non lo avevo dimenticato.
Per tutto il giorno nella mia testa risuonarono quei maledetti suoni e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era lo sguardo di ghiaccio di Roger fino a quando non andai a letto. Quella notte non sognai assolutamente nulla.
La mattina seguente mi svegliai, misi le pantofole e scesi al piano di sotto. Finite le scale qualcuno mi appoggiò la punta della canna di un fucile tra le scapole. Era gelido e chi lo teneva era immobile. A quel punto iniziai a tremare di paura. La consistenza di quel fucile era come quella dell’aria ma il freddo, quello sì, era vero e mi terrorizzava.
“Ehi, sei tu John White?” disse la stessa voce da bambino del sogno.
“Sì”, dissi con voce tramante.
“Non hai più riposto alla mia domanda … e poi non mi hai ancora riconosciuto! Vero? Però così mi deludi, poi mi offendo. Io si mi ricordo di te. Quegli occhi pieni di terrore e di dolore, come scordarli!”
“Roger” dissi.
“Bravo! Vedo che certe cose non te le dimentichi facilmente. Sai perché sono qua?” continuò.
“No”, risposi chinando la testa.
“Per ucciderti! Devo finire ciò che iniziai e che, per colpa di Jack, non riuscii a portare a termine. Ma ora lui non è qui!” urlò caricando il fucile “Allora, John, sei pronto ad andare dove il sole nasconde i guai dei suoi bambini?!?” disse premendo il grilletto.
In quel momento caddi a terra piangendo. Roger era scomparso.
“Corri John! Scappa” “No!” “Non morire, resisti!” “No John, oggi tu non sopravviverai! Non ce la farai a superare questa notte!”
Da quel punto in poi sentii solo le voci e non ricordai altro. Fino a che non mi ritrovai a letto, era notte.
Ero sveglio, sudato e stavo ancora pensando alla guerra. Non volevo riaddormentarmi ma ero troppo stanco e quindi chiusi gli occhi, forse per l’ultima volta.
Ad un tratto aprii nuovamente gli occhi: era mattina e avevo sentito il cancello aprirsi.
Mi alzai. Le mie gambe tremavano come non mai. Chi poteva essere?
Scesi le scale: dopo tre gradini mi dovetti fermare poiché sentii una brezza gelida che mi paralizzò le gambe. Continuai e arrivato alla porta che si affacciava sul cortile la aprii: nessuno.
Ad un tratto sentii di nuovo lo stesso brivido da dietro che mi pervase la schiena, come una forte folata di vento. Ma in quella giornata il vento lo si poteva solo immaginare.
Allora tranquillizzato e con l’idea razionale del classico gatto che apriva i cancelli ritornai in casa.
“Buondì John! Andiamo dove il sole nasconde i guai dei suoi figli!”. Sentii uno sparo e subito dopo vidi un angelo che mi disse “Seguimi!”. Allora mi prese la mano e iniziò a salire.
Da quel momento mi sentii più leggero. Voltai la testa e vidi che anche io mi ero sollevato. Però là, disteso sul pavimento, senza vita c’era il mio corpo con un buco nella schiena, era stato Roger.
Questa volta non era un sogno.

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