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QUEL MALEDETTO OSTACOLO

Caro Diario,
Oggi voglio parlarti di Paura, e per farlo voglio raccontarti una delle esperienze più forti e più significative che io abbia mai vissuto. Ho deciso di raccontarti la mia ultima operazione, perché è anche grazie a quell’avvenimento se io sono come sono ora, e se so veramente cosa vuol dire essere spaventati e avere il coraggio di superare un ostacolo che sembra impossibile da saltare.
Era il primo Dicembre 2015 Ed io ero lì, nella mia minuscola stanza di ospedale numero 5239, torre cinque, secondo piano. Erano le sei e un quarto del mattino quando entrò in stanza l’infermiere di turno dicendomi che la sala operatoria era pronta e che mi ci doveva portare. Abbracciai i miei parenti che mi erano venuti a salutare; mia madre, mio padre, i miei nonni e i miei zii, e salii sul lettino. Giunto in corridoio incontrai il ragazzo della stanza di fronte, con sua moglie, che mi augurò buona fortuna e cercò di rassicurarmi dicendo che sarebbe andato tutto bene e che non dovevo avere paura; lo salutai, lo ringraziai e andai avanti. Quando raggiunsi l’ingresso del reparto mi si avvicinò il padre di un bimbo che aveva la stanza accanto alla mia, e mi strinse la mano per farmi coraggio, che in quel momento era la cosa che mi serviva di più. Arrivai in ascensore e cominciarono a tremarmi le gambe, avevo paura, paura di perdere la mia famiglia e i miei amici, avevo paura di perdere tutte quelle persone con le quali sono cresciuto, ho riso, ho scherzato e ho corso sotto la pioggia; non era paura di morire, forse in quel momento la morte era la cosa che mi preoccupava di meno, temevo solo di non poter rivedere nessuno, che è peggio. Quando ero piccolo era tutto più semplice, non avevo nemmeno cinque anni, non capivo a cosa stessi andando incontro, mia mamma mi diceva solo che non era niente di pericoloso, che serviva a farmi stare meglio, ma quella volta, quella volta avevo tredici anni, capivo tutto, eccome se capivo… capivo persino cosa pensava mia mamma mentre mi stringeva la mano prima di dovermela lasciare, quando mi vennero a chiamare in stanza, e non era facile,lo ammetto . Arrivai in sala ed era pieno di dottori, la mia paura aumentava sempre di più; in quel momento cominciai a pensare ai volti dei miei migliori amici, dei miei genitori, dei miei professori, di tutti coloro che il giorno prima avevo salutato dicendo : “ci vediamo presto”, e solo allora capii che tutte le paure che avevo provato fino al giorno prima, come la paura del buio o quella di sporgermi da un balcone troppo alto, non erano vere paure, ma solo sciocchezze. Poi il nulla… l’anestesia aveva fatto effetto.
Mi risvegliai il giorno dopo e tutta la paura che avevo provato e con la quale mi ero addormentato, era svanita, non c’era più nulla, solo il sorriso dei miei genitori che mi guardavano e mi sorridevano, dicendo che ce l’avevo fatta. Nei giorni successivi, vennero a trovarmi in ospedale le persone alle quali ero più affezionato, e tutte ammisero di aver avuto molta paura di perdermi, la mia famiglia mi raccontò di essere stata per più di dieci ore seduta su un divanetto in silenzio, uno più spaventato dell’altro. Ciò mi faceva ridere, perché loro avevano temuto di perdere me, e io avevo avuto paura di perdere loro. Ma d’altronde non li biasimo, non è facile stare un’intera giornata seduti in una sala d’aspetto e avere un parente sotto i ferri. Passarono le settimane e anche se ero sempre nello stesso posto nel quale prima ero terrorizzato, ora della paura non ce ne era nemmeno l’ombra e non vedevo l’ora di rivedere i miei amici e tornare a passare i sabati sera con loro, sdraiato su un divano a guardare film horror e a mangiare patatine comprate al discount dietro casa. Era il diciassette Dicembre, erano passate più di due settimane dall’operazione ed ero in ospedale da un mese ormai. Quando meno me l’aspettavo entrò in stanza una Dottoressa dicendo che era giunta l’ora di andarmene e che stavo benissimo, così mi firmò le dimissioni. Mi ricordo che in quel momento ero la persona più felice del mondo, finalmente potevo tornare a casa e vivere una vita normale. Rifeci la valigia, uscii dal reparto, presi l’ascensore e insieme a mia mamma uscii da quel maledettissimo posto… ce l’avevo fatta, ce l’avevo fatta davvero.
Ora però, caro Diario, devo proprio andare, sono felice di averti confidato tutto ciò, mi sento molto meglio.
-Riccardo

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