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IL RAGAZZO NUOVO

Era il primo giorno di scuola di parecchi anni fa. Dopo le lunghe vacanze estive rincontrai i miei compagni di classe. Ero molto contento di rivederli perché durante l’estate ognuno era andato in vacanza con la propria famiglia e ci era visti poco. Ognuno portava con sé le proprie esperienze vissute e le raccontava agli altri. Alcuni erano andati in America per studiare l’inglese, altri in Egitto a fare immersioni nella barriera corallina, o altri ancora in montagna, al lago… Non era facile per me spiegare come avevo trascorso le vacanze: ero rimasto a casa. A maggio mio padre aveva perso il lavoro e non potevamo permetterci una spesa così elevata. Non volevo che i miei compagni lo sapessero. Me ne vergognavo. Quindi, raccontai loro di essere andato in Sud Africa a fare un safari naturalistico in mezzo ai leoni. Mentre raccontavo le mie vacanze ideali, percepivo nei loro volti consenso e accettazione nei miei confronti, come se diventassi parte del loro gruppo, della loro élite. Inoltre, commentavano interessati e ponevano delle domande a cui io riuscivo a rispondere in modo realistico. Non percepivo nessun senso di colpa in quello che stavo dicendo. Dopotutto, non stavo facendo nulla di male: stato solo cercando di consolidare la nostra amicizia. Come avrei potuto fare altrimenti?
In classe quell’anno era arrivato un ragazzo nuovo. Aveva una corporatura esile, una statura molto bassa, gli occhi azzurri e i capelli biondi. Non dimostrava la nostra età e sembrava più un bambino. Inoltre, si capiva subito che non veniva dalla città: indossava un maglione di lana pesante, dei pantaloni di velluto con delle bretelle e degli scarponi da montagna. Tutti erano incuriositi da questo nuovo compagno e cominciarono a porgli alcune domane, tra cui la fatidica “dove sei andato in vacanza quest’estate?”. Con una voce molto bassa e quasi infantile rispose che era rimasto a casa perché la sua famiglia non poteva permettersi una vacanza.
Rimasi molto colpito dalla sua risposta perché era esattamente la stessa che avrei dovuto dire io. La differenza stava nel fatto che lui aveva avuto il coraggio di presentarsi per quello che era e non si era nascosto dietro una finzione. Nonostante il suo corpo mingherlino e la sua voce sottile, era stato coraggioso: non aveva avuto paura del giudizio degli altri. Aveva deciso di rimanere sé stesso. Era fiero di appartenere alla sua famiglia e non avrebbe voluto essere qualcun altro.
Dopo la sua risposta tutti i ragazzi non gli rivolsero più la parola: non era alla loro altezza. E io? Io ero formalmente come il ragazzo nuovo, ma mi nascondevo dietro una finta vacanza in Sud Africa. Inizialmente, mi comportai come il resto della classe e non gli rivolsi la parola. Avevo paura di non essere più accettato se avessi detto la verità. Tuttavia, al contempo provavo un senso di colpa per aver permesso che il ragazzo nuovo venisse emarginato. Un giorno decisi che dovevo smettere di avere paura del giudizio degli altri e dissi tutta la verità ai miei compagni. Si comportarono come avevano fatto con il ragazzo nuovo e non mi parlarono più. Capii che l’amicizia che ci legava non era pulita, leale e forte. I veri amici ti accettano per quello che sei. Questa lezione l’ho imparata grazie a quel ragazzo nuovo, con cui strinsi una forte amicizia. Quest’ultima non nacque perché eravamo entrambi emarginati, ma perché avevamo entrambi deciso di essere noi stessi.
Ora siamo adulti e abbiamo preso strade diverse, ma rimaniamo in contatto per ricordarci sempre di vivere con coraggio e di non temere il giudizio degli altri.

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