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La recensione

Green Book, perché i giovani devono vedere il miglior film degli Oscar 2019

Tratto da una vicenda realmente accaduta e con cinque candidature ottenute agli Oscar, Green Book è stato decretato il “Miglior film 2019”.

Stati Uniti, anni ’60. Al termine della Seconda guerra mondiale, l’aria che si respira negli USA è fatta di tensione ed incertezza. Se da un lato infatti la nazione assume il ruolo di promotrice dei diritti umani e della sicurezza internazionale attraverso la creazione dell’ONU, d’altra parte è anche vero che, proprio in questo periodo, si accentua notevolmente la questione razziale. Una grande contraddizione dunque, non solo dal punto di vista politico, ma anche rilevante dal punto di vista sociale.

Il titolo del film di Peter Farrelly, “Green Book” prende il nome da una guida turistica che durante gli anni Sessanta, elencava nomi di svariati locali, hotel, ristoranti, all’interno dei quali erano ammessi e serviti clienti di colore. Fu un postino afroamericano, Victor Hugo Green, a realizzare questo strumento, che divenne in poco tempo assolutamente indispensabile. Credo però che il termine “Green Book” possa rappresentare anche qualcosa di più. Il verde è il colore della speranza per eccellenza e forse, il “libro verde” simboleggia la volontà di scrivere una storia differente, una storia che parli di fiducia, dialogo e integrazione.

Un titolo che non poteva essere più appropriato. “Green Book” racconta le peripezie di Tony Lip, un italoamericano che, ritrovatosi senza lavoro, accetta di diventare autista e assistente del dottor Donald Shirley, un musicista afroamericano, pronto ad iniziare un tour di concerti tra gli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississipi. I due sono protagonisti di una serie di avventure e instaurano un rapporto che inizialmente, pare essere di totale diffidenza. Tony e Donald avranno l’opportunità durante il loro lungo viaggio in macchina, durato otto settimane, non solo di evolvere il legame, ma anche di approfondire la conoscenza di loro stessi. Tony è illetterato, volgare, rude; si definisce «più nero» di Donald. Ma è anche un uomo umile, sincero, divertente, devoto alla famiglia. Il dottore, al contrario, è colto, ricco, composto. Adotta sempre comportamenti rispettosi ed equilibrati e spesso appare disgustato da quelli rozzi dell’italoamericano. In sintesi: poli opposti. Questa differenza è determinante anche esteticamente, in una società in cui banchi e neri sono divisi in ogni attività quotidiana.

Tuttavia, il dottor Shirley rappresenta in parte anche il riscatto sociale. Ha studiato, è riuscito a realizzarsi, a diventare un vero e proprio prodigio musicale. Durante il film sono molte le scene che lo ritraggono mentre suona il pianoforte. Il pianoforte diventa per lui non solo uno strumento musicale, ma anche una valvola di sfogo. Al termine delle esibizioni, dopo aver ricevuto gli applausi finali, ecco che sul viso del dottore compare sempre un sorriso. Un sorriso non di compiacimento o di gioia; bensì, palesemente finto, costruito. La verità infatti è molto cruda: Shirley viene apprezzato dai bianchi durante i suoi spettacoli ma, una volta sceso dal palco, ritorna ad essere considerato e trattato come un qualsiasi afroamericano negli Stati del Sud. È costretto ad accettare di doversi cambiare all’interno di sgabuzzini, accettare di non poter uscire solo la notte, non poter cenare in un ristorante nella stessa sala dei bianchi. Come lui stesso afferma, si sente «troppo nero per i bianchi, ma troppo bianco per i neri».

Particolarmente impattante è la scena in cui il dottor Shirley e Tony sostano in un campo a causa di un guasto al motore dell’automobile. Proprio in quel luogo, stanno zappando la terra uomini e donne di colore. Donald li fissa ed essi interrompono il lavoro per qualche istante. Nessuno parla, nessuno accenna un gesto o un saluto. Interviene solo lo sguardo. Uno sguardo di compassione tra individui che, seppur appartenenti a classi sociali differenti, sono ugualmente vittime delle discriminazioni e delle imposizioni della società.

Una storia avvincente che alterna momenti di felicità e spensieratezza, a momenti brutali e tristi. Pur essendo ambientato nell’America degli anni Sessanta, Green Book è molto attuale. Permette di meditare su questioni delicate, come il razzismo o gli stereotipi, che sono parte ancora oggi della nostra realtà.

Inevitabilmente il film innesca in noi una moltitudine di emozioni, domande, riflessioni: la nostra identità è davvero determinata dal colore della nostra pelle? Chi siamo realmente?

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