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L'incontro

“Il cuore fa la differenza”: Medici Senza Frontiere raccontato ai giovani

Il medico bergamasco Diego Manzoni protagonista della serata rivolta ai giovani all'oratorio di Pagazzano

Il medico bergamasco Diego Manzoni, nella serata di giovedì 28 febbraio, ha raccontato al pubblico dell’oratorio di Pagazzano la sua esperienza come volontario di Medici Senza Frontiere. Da anestesista presso l’ospedale Papa Giovanni di Bergamo alla medicina di guerra nei paesi in via di sviluppo in cui le cure avanzate non esistono, ha spiegato che “Il cuore fa la differenza”, come indica il titolo dell’incontro.

La rete delle associazioni e degli oratori di Bariano, Morengo e Pagazzano, con l’Istituto comprensivo dei tre paesi, ha organizzato la serata rivolta soprattutto ai ragazzi e ai loro genitori per proseguire nell’intento di sensibilizzare sui temi etici e sull’importanza della solidarietà.

“Perché sono qui a testimoniare quello che ho visto? Perché gli occhi di noi volontari devono essere gli occhi della gente per mostrare quello che abbiamo fatto e vissuto!” Manzoni ha anticipato così l’intento del suo intervento che è stato proprio quello di permettere agli oppressi di uscire dall’anonimato e farsi vedere per ciò che stanno subendo.

Medici Senza Frontiere non opera solo in Medio Oriente dove è più nota per le vicende belliche, ma anche in Africa, così le esperienze riportate spaziano dal primo intervento a Lashkar-gah (Afghanistan) nel 2011 allora con Emergency, a Raqqah (Syria, 2018), Mosul (Iraq, 2017), Kunduz (Afghanistan, 2015) fino alla fondazione di Health Aid Onlus per fronteggiare la miseria in Ghana.

Le immagini e i video proiettati sono accumunati da ospedali da campo in tende o container con scarse dotazioni tecnologiche e sale operatorie con strumenti semplici, in cui vengono eseguiti interventi anche al buio: è la dimostrazione che la chirurgia di guerra è realtà, non un film o un documentario televisivo. Altro elemento toccante sono i pazienti che non sono militari e molte volte nemmeno adulti, ma spesso bambini perché –come ha spiegato Manzoni- “le guerre di oggi si basano sul mettere in ginocchio il paese attraverso i civili, sparando persino sugli ospedali.”

Nella distruzione guidata da intenti economici e politici, i medici senza frontiere non vogliono curare solo le ferite di guerra e altre conseguenze connesse come la malnutrizione, ma anche stare insieme per strappare un sorriso e regalare speranza ai pazienti. Come ha raccontato il dottore bergamasco, la squadra deve lavorare con questo obiettivo comune senza orgoglio e voglia di prevalere sugli altri, ma aprendosi alla collaborazione con molti stranieri, mettendo a disposizione ciò che ognuno sa fare tra medici, infermieri e operatori tecnici anche di fronte alle innegabili difficoltà. Accanto a persone che si sentono completamente abbandonate in un modo vittima della ricchezza e della tecnologia, i volontari di Medici Senza Frontiere operano gratuitamente senza aspettarsi nulla in cambio, nemmeno la gloria di sentirsi eroi.

La sensazione che Manzoni ha messo in luce è, infatti, che “C’è qualcosa che va molto al di là di tutto questo”, si tratta del mettere in gioco sia competenze tecnico-professionali, sia il sentimento e la passione per ottenere risultati che nessuno si aspetterebbe normalmente. L’amore può causare il cambiamento “perché quando usiamo intelletto e scienza e in più aggiungiamo cura e amorevolezza, uniamo il fattore umano che fa sentire la persona che riceve le cure amata e considerata”: questa è l’esperienza fondamentale, vissuta in prima persona del medico e riportata ai giovani spettatori di Pagazzano. Il racconto si è prestato anche ad una parallela riflessione sulla situazione in Italia in cui spesso i pazienti chiedono soprattutto di essere ascoltati dal proprio curante e in cui è sempre più vivo l’incontro con le vittime degli scenari di guerra e povertà. Da un lato il movimento fisico del medico senza frontiere che si sposta in questi ambienti, dall’altro il passo nella direzione della conoscenza e della scoperta dell’altro con connessione, compassione ed empatia per accorgersi che nelle diversità ci si assomiglia e quindi ci si aiuta.

Diego Manzoni invita così, in conclusione, ad affrontare nella quotidianità la paura del diverso perché è solo mettendo al centro il cuore che gli sviluppi del mondo possono essere cambiati: “Chiuderci o accettare la sfida dell’incontro che, in alcuni casi, può andare male, ma, in altri, potrebbe permettere di godere dell’incontro che porta a qualcosa di buono nella vita? La mia testimonianza è che sono cresciuto solo grazie a questi incontri, spostandomi in questi posti, con queste persone molto diverse da me!”

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