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La testimonianza

“La mia odissea alla ricerca della cura per la mia malattia rara”

In occasione della giornata mondiale delle malattie rare racconto le difficoltà per capire a chi rivolgermi e a chi chiedere aiuto

Un grido d’aiuto, la speranza che si trovi al più presto la cura, la motivazione per non arrendersi. Sono tantissimi i significati che do alla giornata di giovedì 28 febbraio, cioè la giornata mondiale delle malattie rare.

Purtroppo sto vivendo in prima persona questa situazione: mi chiamo Paolo, ho 31 anni e a 18 mi è stata diagnosticata una neuropatia ottica di Leber già associata a Lhon, che comporta problemi visivi. A questa famiglia appartengono diverse mutazioni dalle diverse gravità, e tutte si connotano per una atrofia del nervo ottico. Ci sono terapie che possono bloccarne il decorso, ma per la cura bisogna aspettare la terapia genica.

Anche se le malattie rare sono tante e molto diverse tra loro, sono convinto che le mie parole possano dare voce a tanti altri che si trovano a far fronte a questo tipo di patologie. Infatti i sintomi possono essere differenti, così come la tipologia del disagio che comportano, ma le esigenze sono comuni a tutti.

La ricorrenza, giunta alla 12esima edizione, ha l’obiettivo di far conoscere e sensibilizzare su queste patologie, ma anche invitare a riflettere sui bisogni delle persone che ne sono affette e fornire aggiornamenti sulle tanto attese possibili terapie. Per questo vengono organizzati convegni, incontri a tema e campagne social con l’intervento di esperti e ricercatori, che sono al lavoro per trovare possibili terapie. Non è facile, perché è un campo di studi molto vasto: le malattie rare sono moltissime, di alcune si hanno conoscenze limitate mentre altre di altre si sa ancora poco o nulla: qualcuna non ha ancora un nome ed è tutta da scoprire.

In totale sono oltre 6mila e hanno nomi spesso impronunciabili, possono comparire a ogni età e sono un’emergenza per il 6–8% della popolazione mondiale. Prese singolarmente, quindi, hanno numeri piuttosto contenuti, mentre considerandole tutte insieme assumono proporzioni maggiori. Più precisamente, sono 30 milioni gli uomini e le donne di tutte le età che ne soffrono in Europa e 300 milioni nel mondo.

Quali sono i primi passi da compiere per uscirne? Sicuramente parlarne e mantenere l’attenzione sull’argomento, quindi sostenere la ricerca e fare pressione sulle istituzioni affinché si arrivi al traguardo, cioè l’individuazione della cura, che nella maggior parte dei casi consiste nella terapia genica. Si tratta di una sofisticata tecnica che prevede l’inserzione di materiale genetico “corretto” all’interno delle cellule, un orizzonte che in passato poteva sembrare fantascientifico, mentre oggi pare realizzabile e più vicino.

È una battaglia a cui ognuno di noi può dare il proprio contributo: per sostenerla sono impegnate non poche realtà, come l’Osservatorio delle malattie rare, la Fondazione Telethon, molte associazioni e tanti volontari. Sul territorio bergamasco, inoltre, ci sono la Fondazione Aiuti per la Ricerca sulle Malattie Rare A.R.M.R, la Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo (From) e, specializzato sulle malattie del rene, l’istituto Mario Negri.

Avere una malattia rara non è per nulla facile, anche perché non sai quando ne uscirai. Non avendo altre scelte ogni giorno vai avanti, fai i conti con la tua problematica (nel mio caso si tratta di problemi visivi), ma aspetti costantemente che arrivi la cura ed è un pensiero in qualche modo sempre presente.

Ed eccoci a un “punto” cruciale: spesso chi ha una malattia rara ha la sensazione di essere solo nel fronteggiare questa patologia, fatica ad avere notizie e aggiornamenti sugli studi e sulle sperimentazioni che sono in corso o che stanno per cominciare. Capisco che i ricercatori non vogliano correre il rischio di dare false speranze o illusioni, ma basterebbe qualche semplice indicazione per avere un’idea su come sta proseguendo la ricerca.

Al tempo stesso, nonostante il prezioso impegno di tante realtà, ritengo che manchi qualcuno che indirizzi chi ha una malattia rara verso le strutture e i centri specializzati per giungere alla diagnosi.

Dare un nome alla propria patologia è il primo passo per poterne curare i sintomi, ma non è facile trovare lo specialista che possa seguirti e questa ricerca può diventare un’odissea. Non è facile trovare il medico che conosca la patologia e tra questi trovare quello più aggiornato, che ha risposte alle tue domande e che mostra maggior padronanza dell’argomento. E non c’è nessuno che ti indirizzi per arrivare a lui: nel mio caso ho inviato email a università, ospedali e centri che avevo trovato su internet e che avrebbero potuto conoscere la materia.

Non è tutto: una volta trovato lo specialista a cui poter fare affidamento puoi intraprendere terapie che fermino la malattia o in altri casi allevino i sintomi, ma rimani in attesa della terapia genica. Quest’ultima per una patologia che fa parte della stessa famiglia della mia ha preso il via qualche anno fa, ma non si sa quando diventerà effettivamente fruibile ai pazienti. Col passare del tempo la speranza che arrivi presto cresce sempre più, ma insieme a lei aumenta vertiginosamente anche l’attesa.

Non c’è una scadenza e il problema è quello di aspettare un futuro senza sapere quando arriverà. Nonostante questo hai la volontà di sbloccare la situazione e vivere appieno il presente: così, oltre ad attendere questa prospettiva, è inevitabile continuare a cercare possibili opzioni che possano dare benefici in attesa del fatidico giorno in cui arriverà la telefonata per eseguire la terapia genica.

Viene spontaneo cercare perennemente novità su internet e un giorno, scorrendo pagine e pagine su Google, ho trovato uno studio oculistico con uno specialista di patologie oculari tra cui la mia, che ha ottenuto risultati positivi integrando la terapia che sto eseguendo. La sto provando e, a fronte di benefici iniziali, spero che il miglioramento possa proseguire in maniera ancor più importante. Al tempo stesso, presto sempre attenzione alle novità del centro che sta sperimentando la terapia genica.

Questa duplice prospettiva offre la possibilità di attivarmi nel presente oltre che in una prospettiva futura. In quest’ottica, penso che sarebbe estremamente utile se ci fosse qualcuno, uno sportello o un ente, che possa fare da raccordo tra i diversi centri che propongono differenti opzioni terapeutiche. Infatti, ho trovato autonomamente e in maniera fortuita questo studio oculistico cercando sul web, ma possono esserci tante persone che pur trovandosi in un caso come il mio non riescono a reperirlo. E potrebbero esserci altri studi che propongano possibili terapie.

Sperando che possa giungere presto alla soluzione, penso che si debba tessere una rete che unisca le competenze e contare su un punto di raccordo che possa fornire ai pazienti le informazioni sui centri, gli specialisti e le varie strade percorribili.

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