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A sanremo

Achille Lauro e la sua Rolls Royce: “Quando si critica senza capire”

Achille Lauro, giovane rapper romano che da due anni è entrato di prepotenza nella scena rap italiana, ha portato sul palco di San Remo il criticatissimo brano “Rolls Royce”

Era il 2001 quando Marshall Mathers, in arte Eminem, si esibì sul palco dell’Ariston di Sanremo, lasciando buona parte del pubblico in sala e a casa tanto scioccato quanto scandalizzato, soprattutto tra i gli over 50.
L’esibizione del rapper del Missouri infatti, oltre che essere penalizzata da un impianto audio mal funzionante, era un qualcosa di inconcepibile per l’Italia di inizio millennio: si parlava di suicidio, matricidio, violenza di ogni tipo, consumo di sostanze stupefacenti e molto altro, con tanto di medio alla telecamera a fine esibizione. Insomma, che messaggio sarebbe passato ai giovani? La situazione fu così tragica che non solo si organizzò un boicottaggio interno al Cda della Rai per andare contro Sanremo, ma addirittura la Procura della Repubblica della città impedì a Eminem di portare sul palco dell’Ariston il pezzo “Stan”, una delle sue canzoni più famose nonché in cima a tutte le classifiche musicali di quell’anno.

L’Italia in quella circostanza, così come nell’84, quando sempre a San Remo si fecero esibire i Queen in playback per paura che stonassero, si dimostrò un Paese fuori dal mondo, vecchio, chiuso a chiave nella sua torre d’avorio ed estraneo al cambiamento musicale, ma soprattutto sociale, che stava per travolgere il mondo. Eminem non piaceva, non era bello, non aveva una voce piacevole, non cantava storie d’amore che finisco bene né di cavalieri senza paura, ma faceva un ritratto crudo e senza filtri della realtà terribile nella quale era cresciuto.
Inaccettabile.
Meglio restare chiusi con i tappi nelle orecchie e i paraocchi, non sia mai che la musica parli anche di argomenti brutti e sporchi.

A distanza di circa 20 la storia, ahinoi, la storia si è ripetuta, non tanto per l’importanza dell’artista in questione, quanto per il messaggio che voleva lanciare. Achille Lauro, giovane rapper romano che da due anni è entrato di prepotenza nella scena rap italiana, ha portato sul palco di San Remo il brano “Rolls Royce”, una canzone nella quale si celebra il noto marchio automobilistico inglese, visto come simbolo di ricchezza e importanza che il cantante vuole raggiungere grazie alla sua arte, al pari di mostri sacri della musica come Elvis, Axl Rose, Jimmy Hendrix, i Doors, Amy Winehouse e molti altri.

La canzone non è male, è orecchiabile, ha buon testo, una musicalità a metà tra il pop e il rock’n’roll e un bel messaggio, insomma, è un prodotto da 7.5/10.

Peccato che, per via di una gigantesca campagna di disinformazione, il testo della canzone si sia trasformato in un invito a drogarsi e a provare sostanze stupefacenti di ogni genere fino all’autodistruzione.

Questo perché su un tipo particolare di pastiglia di ecstasy è presente il logo della Rolls Royce, come se non ci fossero centinaia di varianti di questo tipo di stupefacente con impresso, tra gli altri, il logo di UPS, di Batman, di Facebook, di Beats by Dre, dei Transformers, di Superman e tanti altri ancora.
Per lo stesso motivo il testo di Miguel Bosè “super Superman” dal 1979 è da considerarsi un inno alla droga? Probabilmente sì, almeno secondo il ragionamento di Striscia, che ha addirittura ritenuto opportuno far consegnare, per mano di Valerio Staffelli, il Tapiro d’Oro al giovane artista, con tanto di frasi auliche ed educatissime come “ma scusi lei è un esperto di droga, ha fatto il pusher” oppure “come dire che non conosce l’ecstasy”, senza dimenticare il sempre verde “i ragazzini non dovrebbero avere persone come lei”, il tutto poi senza lasciar parlare Achille che, in un misto di rabbia e incredulità, non è riuscito a spiegare le sue ragioni.
Il giovane rapper poi, come se non bastasse, è stato investito da insulti di ogni tipo sui social, ad opera soprattutto di persone che, guidati dall’ipocrisia e dall’ignoranza, hanno abbandonato qualsiasi freno inibitore, ricoprendo il ragazzo di minacce, offese, improperi e richieste di esclusione dal Festival.

Il tutto per una fake news!
Non importa poi che quelle stesse persone che insultano Lauro probabilmente abbiano a casa i cd o i vinili dei Beatles (“Lucy in the Sky with Diamonds”), dei Rolling Stones (“Mother’s Little Helper”), dei Pink Floyd (“Astronomy Domine”), di Bob Dylan (“Desolation Row”), di Eric Clapton (“Cocaine”), di Louis Armstrong (“Muggles”), di Antonello Venditti (“Lilly”), di Fabrizio De Andrè (“Cantico dei drogati”) o di qualsiasi altro artista, non solo nel mondo della musica, che, in un modo o nell’altro, ha elogiato gli effetti di sostanze stupefacenti, ritenendoli classici senza tempo e patrimonio dell’umanità.

L’Italia è, e probabilmente resterà sempre un Paese vecchio, con il bisogno insaziabile di trovare una persona da additare come brutta e cattiva, per il solo scopo di sentirsi meglio con sé stessi.

Nell’arte purtroppo non importa più l’argomento di cui si parla, ma soltanto chi lo dice.

Se a farlo è Vasco, bell’uomo e amato dalle folle, non importa che si celebri palesemente il consumo di cocaina (“Coca cola si, coca cola a me mi fa impazzire”) o luoghi comuni razzisti e misogini (“E’ andata a casa con il negro, la troia!”, andrà sempre tutto bene, ma se lo dice Sfera Ebbasta o Achille Lauro, entrambi tatuati in faccia, con le unghie e i capelli tinti e un abbigliamento costosissimo, allora sono un cattivo esempio per i giovani e vanno eliminati dalla faccia della terra.

È triste, molto triste.

“Questo è come il nostro castello
e i pali sopra le torri
ma non esistono mura a proteggere i nostri fragili mondi
i nostri guerrieri morti per due soldi
sui nostri cavalli a due ruote
in mano uno scudo che stacca il mio culo dal giudizio di ‘ste persone”
– Achille Lauro, “Scelgo le Stelle”, 2014

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