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La risposta del sindaco

Gori: “A cascina Ponchia le donne vittime di violenza, quale destinazione più nobile?”

Il primo cittadino di Bergamo risponde al marito della partigiana Cocca, a cui è intitolata la struttura, dopo l'appello di "non cancellare" Cascina Ponchia

“Gentile Signor Codenotti, rispondo alla lettera che ha voluto indirizzarmi e in particolare alla richiesta di non “cancellare la cascina Ponchia”, ovvero le attività riconducibili al collettivo che da cinque anni occupa abusivamente la cascina di proprietà del Comune”. Comincia così la risposta del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, alla lettera-appello di Bruno Codenotti, marito e compagno della partigiana Angelica “Cocca” Casile a cui è intitolata la cascina Ponchia (leggi qui).

“Allora l’occupazione avvenne – lo ricorda anche Lei – in opposizione alla vendita dell’immobile a operatori privati. In alternativa gli occupanti si proponevano di sviluppare iniziative e attività culturali a beneficio del quartiere di Monterosso.

A distanza di anni la situazione è cambiata. La cascina ospita ogni tanto delle feste, piccoli raduni di giovani, poco o nulla di culturale. Capita che qualche ragazzo vi trascorra la notte. In compenso il Comune, all’inizio del mio mandato, ha deciso di non vendere la cascina Ponchia, l’ha tolta dalla lista delle alienazioni e ha cercato di costruire le condizioni per il suo recupero (la cascina è infatti in pessime condizioni e necessita di un pesante intervento di ristrutturazione).

Abbiamo tentato diverse strade, alcune non sono andate a buon fine. Ora il progetto c’è: è stato depositato poche settimane fa dalla Cooperativa Ruah (quella che si occupa dell’accoglienza dei richiedenti asilo nella nostra città). Prevede la riqualificazione della cascina per ricavarne nove alloggi da destinare a donne in situazioni di difficoltà, sole o con minori, per proteggerle e aiutarle a reinserirsi nel tessuto sociale. Parliamo di donne vittime di violenza, che necessitano di protezione e di assistenza.

Può immaginare una destinazione più nobile, più “pubblica” di questa? Eppure per il collettivo che occupa la Ponchia neanche questa soluzione va bene, e a quanto pare neanche per Lei.

Noi, Le dico, faremo di tutto per realizzarla. Perché siamo contrari all’appropriazione abusiva di un bene pubblico, che consideriamo un atto illegittimo; perché non ritroviamo nessun vero valore pubblico nelle sempre più sporadiche attività del collettivo; e perché riteniamo urgente realizzare nuovi alloggi protetti per donne e bambini, vista la crescente richiesta di questo tipo di servizi.

Che il collettivo si definisca come “realtà politicamente antagonista” non ha per me alcuna importanza. Ognuno vive e pensa come crede. Quello che però Lei indica come “interesse prevalente dei benpensanti di ogni schieramento politico”, ovvero la volontà di “omologare stili di vita e comportamenti secondo modelli conformi a norme e a regolamenti calati all’alto”, per me – in questo caso – si chiama rispetto della legge. Io penso che la legge vada rispettata, e quello che Lei difende, l’abuso di un gruppo di giovani che si sono presi un bene della città, io lo considero un sopruso, soprattutto se impedisce di realizzare un progetto – quello sì di evidente valore sociale – come l’iniziativa a favore delle donne in difficoltà.

Io confido che i ragazzi che occupano da cinque anni la Ponchia questa cosa la capiscano. Il Comune di Bergamo ha nel frattempo varato un Regolamento per la gestione dei Beni comuni, che ci ha consentito di affidare la conduzione di spazi e beni pubblici ad associazioni di cittadini. Nulla vieta che, come altri, ne facciano anche loro richiesta. Ma la Ponchia va liberata, proprio in nome dei valori di democrazia e convivenza civile per cui sua moglie, la compianta partigiana Cocca, ha combattuto contro i fascisti.

Cordiali saluti”.

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