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L'intervista

James Senese: “Cinquant’anni di carriera e un disco nel segno delle diversità”

Il sassofonista, storico membro degli Showmen e dei Napoli Centrale, sarà ospite del Druso a Ranica venerdì 11 gennaio, in tour per promuovere il suo ultimo doppio cd live “Aspettanno o’ tiempo”.

Una telefonata con James Senese, musicista di eccezionale talento, non si può dimenticare. Per dirlo come farebbe il maestro, una chiacchierata con Senese è na’ cosa bella assaje. La voce calda e profonda, soul per codice genetico, un modo di parlare semplice e alla mano, che non può non ispirare simpatia. E poi l’accento, inconfondibile, napoletano 100% doc.

Nascere e crescere in pieno dopo guerra da padre afroamericano e da madre napoletana non deve essere stato una passeggiata. “Non è stato facile”, dice Senese che a 74 anni di vita strepitosa dimostra una verità intramontabile: la diversità è ricchezza, sempre. La natura è stata generosa con il maestro, definibile come un raro e prezioso mix di colori e tradizioni.

Il giovane James ha dovuto affrontare momenti difficili. “La musica mi ha aiutato”. Già a tredici anni suonava in duo sax-batteria. Consapevole di essere stato salvato dalla musica, Senese ha continuato a comporla e a suonarla fino ad ora. Ha combattuto le ostilità della vita “armato di sax e sentimento”.

Il sassofonista, storico membro degli Showmen e dei Napoli Centrale, sarà ospite del Druso a Ranica venerdì 11 gennaio, in tour per promuovere il suo ultimo doppio cd live “”. Sul palco insieme a lui l’intera formazione dei Napoli Centrale, la storica band di “Nero a metà”, capolavoro intramontabile del grande Pino Daniele.

Nella musica come nella vita diversità vuol dire potenzialità. È d’accordo come me?

Diciamo di sì. La diversità esiste da sempre. La diversità mi è piombata addosso, fin da bambino. Essendo figlio di un afroamericano e di una napoletana, non era facile vivere negli anni ’50 e ’60. Ho subito la diversità in un modo terribile. La musica mi ha aiutato, mi ha salvato da tante difficoltà, mi ha fatto capire dei valori che non riuscivo a capire. Venivo spesso attaccato, dai nemici e dai falsi amici. Per questo ho dovuto essere forte, rimboccarmi le maniche e cercare un modo per difendermi. È così che ho trovato la giusta via dei sentimenti e il modo di esprimerli.

Lei ha scritto: “Sono arrivato a 73 anni felice di questo traguardo. Il tempo è una cosa che assume significato col passare degli anni”. Lei ha dei rimpianti?

No, non ho alcun rimpianto. Ho passato la vita nella continua lotta per emergere e esprimermi. Lo faccio ancora oggi. Una cosa è certa: se fossi nato in America sarebbe tutto più facile. Ma sono stato ugualmente fortunato. Oggi la mia diversità è conosciuta e rispettata. Per me rappresenta un grosso complimento d’amore.

Dici “James Senese” e pensi al jazz, al folk, al rock e alla musica popolare. Il suo mix di origini si riflette nella sua musica…

Ho avuto una grande fortuna. Io e Mario Musella, cantante degli Showmen, eravamo solo due ragazzini. Invece che fare i soliti classici mestieri, siamo diventati musicisti. È stata una scelta di libertà molto forte. Sentivamo dentro di noi un qualcosa di più da cui la nostra musica è uscita per liberarci dai mostri e dai dolori della vita. Poi, essendo figlio di marinaio americano e di una napoletana, il tutto è venuto istintivamente. Volevo essere entrambe le cose. Così ho scelto la lingua napoletana, che è universale, con la musica più differente. Usai il groove quando in Europa non lo usava nessuno. E poi il jazz e il folk. È nato un miscuglio frutto di una realtà bellissima.

I Napoli Centrale hanno segnato un momento di rottura nel panorama della musica popolare. Prima di voi c’era Renato Carosone…

Esatto. C’era Renato Carosone e c’era anche Peppino di Capri. Ma non c’era evoluzione, solo canti popolari e qualche canzone d’amore. Noi abbiamo portato una musica aperta a 360 gradi. Ma non è stato facile imporsi. Allora consideravamo i Napoli Centrale come un gruppo folkloristico estremo. Ma poi la gente ci ha capito.

Parliamo del suo ultimo album, che celebra 50 anni di carriera, e del tour.

Il discorso è molto semplice. Siamo un gruppo che oltre a essere folk, abbiamo fatto altra musica, come quella di Pino Daniele. Con lui abbiamo fatto le migliori canzoni. Siamo più di un gruppo, siamo una famiglia. Dopo ventitrè LP, abbiamo scelto una parte dei sentimenti guida ed è nato il doppio cd live.

L’album contiene due inediti. Uno è “America”, una canzone scritta da Edoardo Bennato.

Un bel giorno Edoardo mi ha chiamato e mi ha detto: “Ho un regalo per te”. Quando ho letto il testo è stato bellissimo. Un regalo prezioso da parte di un caro amico.

Il suo nome è legato a quello di Pino Daniele. Nel 1981 avete fatto una tournée di grande successo. Vuole raccontarci la sera del concerto a Napoli in Piazza del Plebiscito?

La piazza era come esplosa: c’erano duecentomila persone. Era la prima volta a Napoli dopo il successo di “Nero a metà”, non ci aspettavamo tutta quella gente. Eravamo come i Beatles, ma napoletani. Pino ha poi preso la sia strada, ma non ci siamo mai lasciati, mai. Era come un fratello, gli ho insegnato una parte della mia vita. Ci chiamavano quattro o cinque volte al mese per dirci i nostri segreti. Siamo stati legati fino alla fine.

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