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La lettera

Italcementi, il sacrificio di 430 dipendenti per poi vendere a Heildeberg: è etico?

Una lettera che ripercorre i drammatici momenti di crisi dell'azienda che lo ha visto crescere. Poi il sacrificio di 430 dipendenti e colleghi, infine la vendita del Gruppo Italcementi e l'amara consolazione di trovarsi a casa.

Una lettera che ripercorre i drammatici momenti di crisi dell’azienda che lo ha visto crescere. Poi il sacrificio di 430 dipendenti e colleghi, infine la vendita del Gruppo Italcementi e l’amara consolazione di trovarsi a casa. 

Egregio Signor Direttore,

mi permetto di scriverle poche righe, per cercare di ricordare a tutti quelli che vogliono ricordare, alcuni fatti avvenuti tra la fine del 2011 e l’ottobre 2016. Fatti che, purtroppo, hanno una pietosa coda in questi giorni di fine anno 2018 e che riguardano l’ex Gruppo Italcementi di proprietà della famiglia Pesenti.

Nel dicembre del 2011 Carlo Pesenti, a fronte di una crisi, senza precedenti, del mondo dell’edilizia, che ovviamente stava riducendo in modo importante la produzione del cemento per tutto il mondo occidentale, decise di iniziare un processo di ristrutturazione del gruppo.

Vennero individuati alcune decine di dipendenti del gruppo che venivano, a torto o a ragione, considerati sacrificabili e poi messi in cassa integrazione a zero ore (senza far più rientro in azienda). Da quel momento, nell’arco di alcuni mesi, il processo non si fermò e di mese in mese venivano individuati altri lavoratori che prontamente venivano messi in cassa integrazione a zero ore.

Poi iniziò un periodo, durante il quale vennero messi in cassa integrazione a rotazione altri lavoratori. Nel frattempo la crisi si acuiva e quindi questo processo veniva a maggior ragione giustificato. I sindacati e in azienda, ovviamente, i colleghi spaventati cercavano delle soluzioni che vennero trovate promuovendo alcune deboli e spaurite azioni dimostrative.

Nel maggio del 2015, il gruppo ormai aveva raggiunto una dimensione giudicata da Carlo Pesenti “interessante” e quindi poteva essere fattibile un’operazione che nessuno si sarebbe mai aspettato.

La sera del 27 luglio 2015, tra noi colleghi della sede centrale rimbalza una notizia appena riportata dai telegiornali e i giornali nazionali ed esteri : “Il leader italiano del calcestruzzo, una delle principali società di Piazza Affari, passa ai suoi concorrenti tedeschi che offrono 10,6 euro per azione. Con un premio del 70 per cento rispetto al prezzo di Borsa degli ultimi due mesi”.

L’operazione di “pulizia etnica” dei tre anni precedenti e una “esemplare” trattativa segreta, che prevedeva il sacrificio dei lavoratori della sede centrale era stata portata a termine nel migliore dei modi, mettendo nelle tasche della famiglia Pesenti molti più soldi di quelli avrebbero mai potuto immaginare.

Da quel giorno in poi, nonostante i tanti tentativi da parte di una parte di colleghi, politici, sindacati e una ristretta porzione dell’opinione pubblica bergamasca, l’operazione venne portata a termine e nel settembre 2016 Italcementi Group veniva inglobata in Heidelberg Cement.

Un passaggio che mancava, era la proposta che l’azienda, nelle mani di scaltri e molto ben pagati dirigenti, doveva essere fatta ai dipendenti perché accettassero, secondo le leggi italiane, una “congrua ” buona uscita.

Il 20 maggio del 2016, durante un drammatico pomeriggio, protratto nella notte tarda alcuni spauriti delegati sindacali e i sindacati, si trovarono davanti ad un out out dei suddetti dirigenti che stavano portando a casa l’obiettivo di Carlo Pesenti , contrattato con Heildelberg Cement durante le trattative del 2015. Riconoscere ai lavoratori che avevano dato molto, sia in professionalità che in tempo della loro vita, una buona uscita come vano palliativo.

Alle 2 del mattino venne firmata una bozza di accordo che, nei giorni successivi, venne proposta in un referendum ai lavoratori, i quali ovviamente impauriti e nel dubbio di non poter ricevere null’altro, accettarono.

Ho deciso di scrivere queste parole perché dalla fine del luglio 2015 a oggi più volte, Carlo Pesenti ha parlato di Etica nella Finanza, di reinvestimento nel panorama industriale bergamasco e ancor peggio di aver fatto quella operazione per il bene della sua gente.

Usare i soldi dei contribuenti italiani per rendere appetibile a un compratore straniero l’azienda e poi sacrificare 430 lavoratori della sede centrale per aumentare il valore delle azioni è agli antipodi di quello che si può chiamare Finanza Etica.

Oggi quelli che erano ancora in cassa integrazione (sì perché a 50 anni è difficile trovare lavoro perché sei vecchio per lavorare e giovane per andare in pensione!) sono davanti al baratro perché dal primo gennaio 2019 sono stati licenziati.

La ringrazio di avermi concesso uno spazio e colgo l’occasione per augurare buon anno a tutti.

Lettera Firmata

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