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La contro-opinione

Antonio Locatelli fu fascista convinto e Bergamo non ha ancora fatto i conti col suo passato

Francesco Macario e Cristiano Poluzzi replicano punto su punto alle argomentazioni di Marco Cimmino dopo il calendario con la pagina dedicata a Locatelli

Carissimo direttore

Le scrivo sollecitato dalla prolissa presa di posizione del suo giornalista Marco Cimmino in merito all’affaire Antonio Locatelli (leggi)

Premetto che trovo il Cimmino spocchioso oltre ogni dire quando arriva sino al punto di richiedere alle controparti per interloquire l’esibizione dei titoli accademici adeguati. Ma chi è costui? Forse è quel Cimmino che solo il 20 dicembre scorso è intervenuto come relatore a Lucca al convegno dal titolo evocativo di “Dov’è la vittoria 1918-2018. L’omissione della vittoria italiana nel centenario della Grande guerra” organizzato da Casa Pound, che si autodefinisce l’organizzazione dei “fascisti del terzo millennio”? Bei titoli accademici veramente. Beh, noi siamo quelli, che come dice la canzone, che pur essendo operai desideriamo vedere i nostri figli dottori e che essendo uomini ci picchiamo in ogni caso di esprimere il nostro punto di vista sulle cose. E questo sinché siamo in regime di democrazia – ci spiace per il nostro – è consentito. E quindi procediamo e veniamo alla materia del contendere.

Contro osservazione numero uno. Sarebbe pensabile che in Germania la cittadina di Rosenheim, che diede i natali a Hermann Wilhelm Göring, gli dedicasse una pagina di calendario? Non crediamo. Eppure Göring fu uno degli eroi sui caccia dell’aviazione tedesca della prima guerra mondiale. Fu un pilota popolarissimo, asso dell’aviazione chiamato a fare parte della Jagdstaffel 11 del Barone Rosso e poi del suo celebre “circo viaggiante”. Successe poi al Barone Rosso subentrando al comando. Venne pluridecorato, insignito tra l’altro della medaglia al valore “Pour le Merite”, la massima decorazione militare tedesca. E si noti Göring era un eroe molto prima che il nazismo prendesse vita e lui vi aderisse. Eppure in Germania nessuno si sognerebbe di dedicargli un’immagine nel calendario ufficiale della cittadina di Rosenheim, anzi farlo è considerato, per legge, un reato. Ciò nonostante, ci sembra difficile dire che la Germania di oggi sia un paese di odiatori incalliti.

Contro osservazione numero due. Molti erano fascisti nel ventennio. Certamente in una dittatura, e il regime fascista fu una dittatura, sono possibili solo tre tipi di opinioni: i favorevoli (in questo caso la minoranza violenta dei fascisti convinti); i contrari (la minoranza in dissenso esplicito, perseguitati e in genere mandati in esilio o al confino) e gli indifferenti o gli opportunisti (la grande maggioranza degli italiani, presunti fascisti per paura, quieto vivere o per convenienza). Naturalmente per chi nacque sotto il tallone della dittatura questa doveva sembrargli la condizione normale della società, e in questo caso per molti giovanissimi fu normale aderire al partito fascista senza problemi (anche perché se non aderivi non lavoravi, non dimentichiamolo, o come dice Cimmino, seguirono “chi le dà la biada” e nel dare la biada, accompagnata all’uopo da abbondanti dosi di legnate e di olio di ricino, i fascisti nel ventennio furono maestri). Ma in un regime totalizzante e fortemente repressivo il dissenso fu incubato all’interno dello stesso partito unico al potere e fu la fronda. Basterebbe sfogliare i giornali della Gioventù Universitaria Fascista. Poi di fronte alle catastrofi come all’infamia delle leggi razziali o al disastro dell’Armir molti presero coscienza e non stettero più zitti sino a scegliere, meritoriamente, di passare all’antifascismo e nella resistenza. Locatelli cosa avrebbe fatto? Non lo sappiamo e pertanto lo giudichiamo per quello che era, cioè un convinto sostenitore della dittatura fascista e per ciò che concretamente ha effettivamente fatto: bombardato con le bombe e i gas, entusiasticamente, i civili etiopi. Il resto è un gioco di abracadabra degno dei prestigiatori da fiera di paese.

Contro osservazione numero tre. Certo le lettere a casa del Locatelli in cui descrive la gioia che provava bombardando il nemico la dice lunga sul personaggio. E la difesa del Cimmino ci dice molto anche di lui; infatti l’accenno di riprovazione contro chi giudica il Locatelli seduto in una “comoda e sicura scrivania” richiama certe polemiche di Marinetti e dei futuristi (quelli della guerra come “igiene della storia”). Noi non riusciamo proprio ad immedesimarci nell’aviatore che combatte con spirito battagliero, se non con gioia vera e propria. Noi ci immedesimiamo con il poveretto che le bombe le riceve mestamente in testa. Cimmino afferma quindi che Locatelli faceva bene a godere dei bombardamenti che realizzava, perché alla guerra si va per vincere (contro i poveri etiopi?) o altrimenti si diserta (e noi certamente siamo tra questi ultimi), ma dimentica che nella guerra ci sono anche altri che nessuna decisione hanno preso e che sono le vittime predestinate di tutte le guerre di tutti i Locatelli. E infatti l’aviazione italiana, in cui il Locatelli militava, le bombe le buttò anche sui villaggi incolpevoli, sui civili inermi, sulle mandrie e sui monasteri (cristiani). Cosa ci fosse da gioire per queste barbare azioni è una cosa che ci sfugge, ovvero mette in evidenza l’aspetto piccolo borghese dell’annoiato bravo ragazzo volontario di provincia affamato di avventure e forti emozioni. Di certo nulla che meriti di essere celebrato.

Contro osservazione numero quattro. Locatelli podestà fascista nella spinosissima questione del risanamento di Città Alta, avrebbe il merito di aver preferito nel 1933 un geniale ingegnere bergamasco (Luigi Angelini) agli architetti e agli ingegneri protetti dal partito. Verissimo, ma lo fece in contrapposizione al gruppo del fascismo cosiddetto “sociale”, quello dello squadrismo della prima ora. Quelli che tanto avevano apprezzato a suo tempo la pubblicazione dell’opuscolo dall’eclatante titolo di “Sventriamo Bergamo” da parte dell’ingegnere Ottavio Negrisoli, assessore nella giunta guidata dal sindaco Giuseppe Luigi Malliani. Infatti l’idea di risanare città alta divise fortemente la città e lo stesso partito fascista: da una parte vi era chi, come l’ingegner Chitò e l’architetto Bergonzo spalleggiati politicamente dagli squadristi della prima ora, voleva procedere all’apertura di “un’ampia via rettilinea di sventramento”, con la conseguente demolizione di quasi tutta la parte storica della città (compresa Piazza Vecchia). Dall’altra vi era l’ingegner Luigi Angelini, con l’appoggio politico di Suardo e Locatelli (cioè della parte nobiliare e borghese del partito), che invece voleva abbattere solamente gli edifici pericolanti o fatiscenti, restaurando, come nel caso del Convento di San Francesco, le aree storiche rilevanti e attribuendo loro nuove funzioni pubbliche. Il dibattito fu assai aspro e non mancarono, in puro stile fascista, neppure intimidazioni fisiche nei confronti dell’Angelini (professionista non iscritto al Partito Nazionale Fascista) e di chi lo appoggiava. La questione divenne così grave che la stessa sezione locale del Partito Fascista fu commissariata. Non vi è dubbio che il livello culturale del fascista borghese Antonio Locatelli, che qualche scuola l’aveva anche frequentata, non gli consentiva di accogliere le istanze eclettiche e stravaganti dell’arruffapopoli Pietro Capoferri (sindacalista fascista squadrista della prima ora), se non altro per lo spirito di conservatorismo che da sempre distingue la piccola borghesia orobica. Insomma si tratta di un episodio della faida politica che contrappose sempre le due anime del fascismo quella borghese e quella “sociale”. E’ curioso che un esponente della destra sociale (rivoluzionaria) antiborghese, come rivendica essere il nostro Cimmino, si sbilanci tanto a difendere il borghese Antonio Locatelli quando dovrebbe apprezzare invece per coerenza Pietro Copoferri, ma tant’è, quando si polemizza tutto fa brodo.

Contro osservazione numero quattro. Locatelli fu un bergamasco e fu amato dai bergamaschi? Una domanda oziosa infatti a vedere la solidarietà che riceve i bergamaschi paiono più identificarsi in Claudio Galimberti detto il Bocia che in Antonio Locatelli. Ma l’argomentazione serve solo a tirare la conclusione retorica che “Antonio Locatelli era il simbolo e una figura esemplare di questa Bergamo”. Ma di quale Bergamo? Della Bergamo piccolo borghese, cattolica, bigotta e conservatrice o della Bergamo popolare operaia e contadina? In fin dei conti il concetto di bergamaschità è sempre servito a rendere buoni per tutti i valori di una parte della società bergamasca, quella dominante. Una parte sociale precisa che esprimeva ed esprime precisi interessi di classe e valori che “esistevano da tanto prima del 1919, e sarebbero durati ben oltre il 1945”, e che non dimentichiamolo la portò ad aderire entusiasticamente al fascismo, restando poi sia cripto/fascista nell’anima anche oggi in tempi di democrazia, sia in forma esplicita come rivendica il nostro Cimmino.

In ultimo osservo che Cimmino tira in ballo l’interventismo di Gramsci. Il riferimento è all’articolo che il ventitreenne Gramsci scrisse sul Grido del Popolo di Torino il 31 ottobre 1914 dal titolo “Neutralità attiva e operante”, si tratta di uno scritto del giovane Gramsci redatto mentre infuriava la polemica sollevata il 18 ottobre sull’Avanti da Mussolini intitolato “Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante”. E’ del tutto evidente che lo scritto dimostra solo che il giovane Gramsci, ancora influenzato dal suo originario idealismo crociano, non aveva compreso quale svolta politica stesse preparando l’allora importante e popolare esponente socialista. E infatti nel cuore del suo articolo scrive “Perché, si badi, non è sul concetto di neutralità che si discute (neutralità, beninteso, del proletariato), ma sul modo di questa neutralità”. Dopo di che ci vogliono gli azzeccagarbugli come il Cimmino per vederci un interventista in colui che poco tempo dopo aderirà pienamente alla tesi di Lenin che ruotavano attorno allo slogan “pace e pane”.

Chiuderei con una semplice osservazione l’uso dell’immagine dell’eroe fascistissimo Antonio Locatelli nel calendario istituzionale non è solo un incidente di percorso. E’ l’evidente dimostrazione che al contrario di altre nazioni l’Italia, e Bergamo in particolare, non hanno ancora fatto debitamente i conti con il proprio passato fascista. E le argomentazioni e il tono delle polemiche del Cimmino stanno lì a dimostrarlo ad evidentiam.

Il sonno della ragione ha generato dei mostri, che sono costati una cinquantina di milioni di morti nella seconda guerra mondiale, sarebbe bene non dimenticarlo al di là delle dotte disquisizioni e delle cortine fumogene dense di polemica, dei Cimmino di turno.

Pace e amore, cordiali saluti.

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