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Cinema

La recensione

“Un piccolo favore”: buon tentativo di thriller con un finale inappropriato

L'ultimo lavoro di Paul Feig è una commistione tra i generi: ma se per buona parte del film il thriller è avvincente, lo stesso non si può dire per un finale deludente.

Titolo: Un piccolo favore

Regia: Paul Feig

Attori: Anna Kendrick, Blake Lively, Henry Golding, Andrew Rannells, Linda Cardellini

Durata: 116 minuti

Giudizio: **

Programmazione: Multisala San Marco

Il regista Paul Feig, reduce da film comici (neanche troppo riusciti) quali “Le amiche della sposa” e il remake al femminile di “Ghostbusters”, ha deciso di imbarcarsi in questa avventura a metà tra i generi, ibridando thriller e comedy, che aspira ad essere paragonata a “Gone Girl”, thriller riuscitissimo con Ben Affleck e Rosamund Pike, ma che arranca e rimane anni luce indietro, a causa di quel finale comedy del tutto inappropriato.

Stephanie (interpretata da Anna Kendrick) è una “super mamma” di provincia, di quelle iperattive, con la voce stridula e le camicette con i colletti ricamati, attenta a tutto e sempre pronta, nella sua ingenuità, ad aiutare il prossimo. Si occupa a tempo pieno del figlio Miles e in quello che le resta gestisce un vlog, in cui racconta, alla sua comunità di mamme followers, come preparare il kit di pronto soccorso perfetto o dei brownies last minute.

Un giorno, fuori da scuola, incontra la madre dell’amichetto di suo figlio: Emily (interpretata dalla bellissima e statuaria Blake Lively). Sono l’una l’esatto opposto dell’altra. Emily trasuda sensualità da tutti i pori, è bella da mozzare il fiato, elegante, in carriera, e non ha paura di niente e di nessuno. Una donna con le palle, forte e indipendente.

All’inizio, è palese che Emily si avvicini a Stephanie solamente per farsi scarrozzare da scuola il figlio. Tuttavia, piano piano, le due si avvicinano davvero, sempre di più, fino ad instaurare un inspiegabile e bizzarro rapporto di amicizia, fondato sui loro segreti più oscuri.

Stephanie, da madre single, è felice di aver finalmente trovato un’amica, se non fosse che in un giorno come un altro, Emily, dopo averle chiesto, come al solito, di ritirare il figlio da scuola, sparisce nel nulla. Passano i giorni e di lei nessuna notizia.

Preoccupata, Stephanie contatta il marito di Emily, Sean, un affascinante scrittore dai tratti orientali. Insieme, i due si mettono alla ricerca di Emily e, con questa scusa, Stephanie si “infila” piano piano nella sua vita; da amica invidiosa quale neanche lei si rende conto di essere, Stephanie, finalmente uscita di scena Emily, ha l’occasione di diventare lei, appropriandosi lentamente della sua casa da sogno, dei suoi vestiti griffati e, persino, del suo maritino perfetto.

Nel frattempo, indagando sul passato di Emily, come una piccola e fastidiosa Nancy Drew, Stephanie riesce a far salire a galla una serie di orribili segreti del passato di Emily che le fanno credere che la sua migliore amica non sia esattamente chi dice di essere.

Fino a un certo punto, ci ho creduto. Ho creduto davvero che si trattasse di un buon thriller, con apparizioni fantasma e armadi posseduti. Tuttavia, con mio grande disappunto, verso la fine il film prende una piega inspiegabilmente comedy, inutile e senza senso, che distrugge tutto quello che ha costruito fino a quel momento, senza possibilità di riparare. La suspance è irrimediabilmente rovinata e lo spettatore è perso, a metà tra due mondi completamente diversi che, forse, non avrebbero mai dovuto incontrarsi.

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