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Bergamo

L’istante della fotografia che diventa Storia: il dono del Museo Sestini fotogallery

Un luogo, il Museo della fotografia Sestini che, grazie alla sinergia tra amministrazione pubblica ed investitori privati, è prima di tutto un dono. Le donazioni di fondi e archivi vengono a loro volta donati alla città di Bergamo che, grazie alla fotografia, riscopre una parte importante della propria storia, sia nella dimensione pubblica che in quella privata.

Istante. Questo il termine, quasi banale, che rimanda ad un brevissimo lasso di tempo, che più ritorna in mente dopo la visita al Museo della Fotografia Sestini, inaugurato sabato 17 novembre al Convento di San Francesco a Bergamo.

Istante è ciò che per noi è oggi la fotografia, nell’epoca degli smartphone, dei selfie, di Instagram: siamo continuamente sovraesposti ad una quantità pressoché infinita di immagini, di fotografie.
I social network, in particolare quello più in voga tra i giovani, sono un contenitore senza fine di istantanee scattate per la maggior parte attraverso gli smartphone, con i quali ritraiamo noi stessi, le persone e tutto ciò che ci circonda. Le fotografie sono immediatamente scattate per poter essere viste e condivise dall’altra parte del mondo. Sono ormai solo processi digitali, senza materialità. Il più delle volte non sono nemmeno studiati, nemmeno pensati.

Questa riflessione balza subito alla mente, dopo la visita ad un museo che raccoglie un archivio di più di un milione e duecentomila immagini, raccolte grazie all’impegno di Siad Fondazione Sestini, Comune di Bergamo e Museo delle Storie di Bergamo. Un museo innovativo che, grazie al progetto curato dallo studio Architecno di Guido Roche, amalgama la storia, la ricerca e la modernità della tecnologia.

Ad accogliere il visitatore, all’interno di questo spazio bianco che risalta ancora di più la luminosità degli ambienti, sono undici schermi collocati sulla parete di ingresso che propongono le prime tre storie protagoniste del percorso: una storia della “meravigliosa scoperta” della fotografia (dai primi dagherrotipi all’avvento del digitale), la diffusione della fotografia nel territorio di Bergamo (dai pionieri fino agli anni Sessanta del Novecento, quando anche Bergamo diventa uno dei centri principali della fotografia in Italia, tra Atalanta, barche di legno sul Sebino, antica Valle Brembana) e una panoramica di immagini dei fondi contenuti nell’Archivio fotografico Sestini.

Nella sala, poi, sono presenti due tavoli interattivi, che mostrano il progresso delle tecniche fotografiche. “Il mondo su lastra” mostra, con una visuale dall’alto, la maestria delle mani di un fotografo alle prese con i propri strumenti di laboratorio per dare forma alle immagini scattate: lastre di rame, latta, ferro, la creazione di negativi, la stampa su carta all’albumina, i dagherrotipi. “Il mondo su pellicola” si concentra invece sullo sviluppo del negativo e l’utilizzo di macchine divenute icone della storia della fotografia come Rolleiflex, Hasselbald e Polaroid.

Uno spazio adiacente, separato solo da un’ampia vetrata, mostra al lavoro l’equipe di professionisti (coordinati da Roberta Frigeni, direttore scientifico del Museo delle storie di Bergamo e da Jennifer Coffani, responsabile dell’archivio fotografico) che ordina e cataloga i fondi fotografici digitalizzati.
Il corridoio che porta all’archivio, caratterizzato da una luce al led che accompagna visivamente il visitatore, è un vero e proprio tuffo nell’evoluzione della fotografia, grazie alle apparecchiature fotografiche originali, provenienti dalle collezioni Limonta e Lucchetti del Museo delle storie di Bergamo.

La prima teca mostra la meraviglia delle lanterne magiche dell’Ottocento, grazie alle quali venivano proiettate immagini dipinte a mano su lastre di vetro, utilizzate sia per scopo spettacolare che divulgativo. Dalla stereoscopia di metà Ottocento alle lastre preparate con collodio umido, gelatina e sali d’argento, si passa poi alla Kodak, marchio ancora famoso che ha reso la fotografia accessibile a tutti. La teca che più emozionerà i visitatori, in particolare i più appassionati, rimane però quella dedicata alla Leica, che ha rivoluzionato il modo di scattare grazie all’utilizzo di un negativo di piccole dimensioni.

Si arriva poi all’archivio vero e proprio, che racchiude in sé storia ed avanguardia tecnologica. Un ambiente che testimonia la passione e l’impegno di Roberto Sestini, presidente di Siad che, con un progetto iniziato nel 2006, acquisisce diversi fondi che confluiscono, con gli altri, nel patrimonio di immagini depositato al Museo delle Storie di Bergamo a partire dai primi anni Duemila. Tra le donazioni, spiccano in particolare le 500mila immagini che compongono l’archivio di uno dei più importanti fotografi bergamaschi, Pepi Merisio, capace di documentare il territorio della provincia di Bergamo nel corso del Novecento.

Due ambienti che raccolgono diverse tipologie fotografiche: dalle stampe all’albumina di metà Ottocento ai dagherrotipi, dalle lastre ai negativi, tutto conservato grazie ad un progetto termotecnico che mantiene costanti i valori di temperatura ed umidità.

Proprio qui, nel cuore del museo, ci si rende conto di essere davanti alla storia della Bergamasca e non solo, tra città e paesi, volti noti e gente comune, eventi politici e piccoli fatti quotidiani.
Un archivio che è anche online, grazie ad un meticoloso lavoro di catalogazione e digitalizzazione che permette di visualizzare le immagini e leggerne le informazioni dettagliate (l’obiettivo è quello di catalogare 86mila immagini e digitalizzare 195mila fotografie). Da sottolineare la presenza di “Storie d’archivio”, una sezione in cui, grazie alle fotografie dell’Archivio Sestini, verranno illustrate storie di personaggi, luoghi ed eventi.

Un luogo, il Museo della fotografia Sestini che, grazie alla sinergia tra amministrazione pubblica ed investitori privati, è prima di tutto un dono. Le donazioni di fondi e archivi vengono a loro volta donati alla città di Bergamo che, grazie alla fotografia, riscopre una parte importante della propria storia, sia nella dimensione pubblica che in quella privata. Un luogo che è dono, ma anche simbolo di impegno, di volontà e soprattutto bellezza. Nel ripensare alle diverse tecniche utilizzate nello sviluppo della fotografia, all’innovazione tecnica, al tempo impiegato per la composizione e lo scatto di una singola immagine, che ha pure comportato un lavoro importante in fase di sviluppo, viene da sorridere di fronte al punta-e-scatta degli smartphone, che in un certo senso “banalizzano” un gesto simbolo per due secoli di maestria, professionalità e ragionamento.

Il Museo della Fotografia Sestini dona il giusto valore ad una tecnica, un’arte, che ha voluto dare prima di tutto testimonianza. Una testimonianza della nostra storia.

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