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Il libro

Maurizia Cacciatori senza rete: le avances dell’allenatore, l’esclusione dai mondiali, i trionfi a Bergamo

"Senza rete" è il primo libro dell'ex campionessa di volley, eletta miglior alzatrice del mondo nel 1998: un'infinità di aneddoti legati alla sua lunga esperienza bergamasca, in difesa dei colori rossoblu della Foppapedretti.

Immaginare Maurizia Cacciatori “senza rete” è sempre complicato: lei, la più forte palleggiatrice del mondo, è sempre stata lì sotto, con la sua fantasia e le sue mani capaci di mettere ogni attaccante nelle migliori condizioni possibili per andare a segno.

Ma “Senza rete” è anche il titolo del suo libro edito da ROI e prima uscita della nuova collana ASSIST curata dall’ex campione del Milan Demetrio Albertini, nelle librerie da mercoledì 10 ottobre: un racconto emozionante, dalle prime avventure lontana dalla sua Carrara alla quotidianità dell’essere mamma di Carlos e Ines, i suoi due figli ai quali il volume è dedicato.

C’è spazio, ovviamente, per le 228 presenze in Nazionale, i 5 scudetti, le 5 coppe nazionali, le 3 supercoppe italiane, le 3 coppe campioni, la coppa Cev, l’oro ai Giochi del Mediterraneo, l’argento e il bronzo agli Europei che sono nel suo ricchissimo palmares: ma “Senza rete” racconta Maurizia Cacciatori come donna, con le sue fragilità, le sue cadute, la sua voglia di rialzarsi da sola e di reinventarsi fuori dal campo, arrivando anche a raccontare delle avances di un allenatore.

Maurizia cacciatori

Senza rete e senza filtri, con l’obiettivo non di vendere il più possibile ma di raccontarsi ai suoi due figli: “Una storia che avrei voluto raccontargli molte volte, finché mi sono accorta che avevo fatto troppe cose e sarebbe stata troppo lunga per essere liquidata in una sola sera. Tutto è nato davanti a delle sottrazioni che mio figlio Carlos proprio non riusciva a risolvere: ‘Mamma, sono impossibili non ci riesco’. Lì è scattata la mia voglia di spiegargli che quando ci si impegna e si dà il massimo gli obiettivi si raggiungono”.

Maurizia racconta divertita e senza vergogna di serate passate a scrivere, accompagnata da un mezzo bicchiere di alcol per sciogliere qualsiasi freno: nel libro c’è la Cacciatori che si mette in gioco sin da bambina, sempre protagonista dei suoi percorsi e delle sue scelte, a tratti anche orgogliosa dei tonfi che l’hanno aiutata a prendere la sua strada.

“Ho amato la pallavolo alla follia – spiega – Ma oggi so che è stata solo un mezzo per migliorare. Nel libro ho messo tutto, comprese le cadute, la tentazione di tornare a casa, l’arrivo in appartamenti bui. Mi sono sempre rialzata da sola, senza l’aiuto di nessuno, ed è questo che voglio lasciare ai miei figli, perché nessuna ‘sottrazione’ li possa spingere ad arrendersi”.

Tonfi e cadute come forse la più tosta della sua carriera, ovvero l’esclusione dal Mondiale del 2002 quando l’allora ct Marco Bonitta in regia scelse Leo Lo Bianco e Rachele Sangiuliano e l’Italia vinse l’oro: “È stato un momento di grande sconforto – ammette – Nel momento più importante e dopo 4-5 anni di grandi sacrifici ero l’unica a rimanere ferma mentre le altre partivano. Lì ho capito che non potevo piangermi addosso e avrei dovuto necessariamente trovare un piano B: lo sport ti abitua a cambiare, io ho fatto 22 traslochi nella mia vita e oggi mi fa più paura non spostarmi. Quella esclusione così fredda mi ha tolto tanto proprio a livello personale: ho capito che un giorno puoi essere la numero uno e quello dopo il contrario. Però mi è servita, mi ha fatto scoprire qualità che non sapevo di avere. Il vincente è chi sa trovare l’equilibrio tra l’essere il migliore al mondo e l’essere escluso da un mondiale”.

Dici Maurizia Cacciatori e non puoi non pensare immediatamente a Bergamo, dove in sette stagioni ha vinto tutto: quattro scudetti, tre coppe italia, tre supercoppe italiane e due coppe dei campioni l’hanno resa per sempre icona della Foppapedretti più vincente della storia.

“Sono legata terribilmente a Bergamo: alla società, che ha creduto in me e dove ho raggiunto l’apice della mia carriera, così come alla città. Quando giocavo con Keba Phipps a volte mi intristivo perché lei voleva assolutamente una palla particolare, alta e semplice, che a me non piaceva e non mi riusciva sempre: quando capitavano quelle giornate storte il mio rifugio era città alta, in una vietta ai piedi della funicolare dove mi isolavo per pensare a quella palla. Lì feci tesoro dei consigli di Julio Velasco che un giorno mi disse: ‘Devi essere una cameriera, sempre all’altezza della richiesta che ti fanno’”.

Ma Bergamo è stata anche covo di infiniti e buffi aneddoti: “Al mattino alle 9, prima degli allenamenti, mi fermavo sempre allo stesso bar per fare colazione. A un tavolo c’era sempre una combriccola di anziani che giocavano a carte e puntualmente mi invitavano a posare la brioche e a bermi un bicchierino di vino, che quello sì che mi avrebbe fatto volare. Ogni mattina la stessa scena, loro che volevano convincermi in dialetto bergamasco e io che cercavo di spiegare che gli atleti non possono”.

Tra i tanti episodi raccontati anche il capitolo Gianmarco Pozzecco e la storia della loro relazione finita a 10 giorni dal matrimonio, le dinamiche di spogliatoio, i rapporti con le compagne, l’avventura in tv.

“Sono sempre stata una sportiva atipica, che voleva scoprire cosa ci fosse dopo la palestra. Non mi bastava giocare a Tokyo, io volevo vedere come era Tokyo. Così spesso scappavo dai ritiri. Lo sport è solo un simulatore di lusso della vita: mi sono divertita per 20 anni ma la vita, quella vera, è fuori. Non ho sofferto il distacco, credo che i riflettori si spengano solo quando lo vogliamo noi non quando finisce la carriera”.

Parole di una capitana che è rimasta tale anche nella vita: senza più alcuna rete a proteggerla ma con lo stesso entusiasmo e senso di appartenenza che aveva in campo, consapevole di essersi sempre guadagnata tutto con le proprie qualità.

Una campionessa che non si guarda alle spalle e non tiene alcun cimelio in casa: “Non me ne frega nulla, quello che serve è tutto davanti a me”.

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